Ultime minaccie dell'ISIS all'Italia. Sarà anche un pensiero nazionalistico privo di certezze ma credo che non convenga a costoro venire qui a fare casino. I servizi segreti del Vaticano, per fare un esempio, (l'Entità, vedere link) sono tra i piu potenti del mondo e verrebbero smascherati velocemente. Comunque, senza l'appoggio di qualche potente organizzazione non uscirebbero facilmente dal paese, entrerebbero in un giro di schiaffi come la scena della stazione del film AMICI MIEI nel terzo video. Si scordino di agire come nel resto d'Europa.
Intanto si sfogano a parole sul Web ma sul campo, in Siria, ne stanno buscando
( https://www.youtube.com/watch?v=7miyKk4eI7A ).
huffingtonpost.it
Bravi o fortunati? Il Guardian si interroga su come ha fatto l'Italia a salvarsi dai grandi attacchi terroristici degli ultimi anni
Perché negli ultimi anni l'Italia è stata risparmiata da grandi attentati terroristici? Se lo domanda il quotidiano britannico The Guardian,
che ascoltando diversi esperti individua una serie di fattori che,
tutti insieme, hanno reso il nostro Paese meno esposto alla minaccia del
terrorismo islamico. Innanzitutto c'è l'esperienza maturata, sia dal
punto di vista legale che investigativo, durante gli anni di piombo.
"Abbiamo imparato una lezione molto dura durante i nostri anni di terrorismo", spiega al Guardian Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) dal 2012 al 2016. "Da quegli anni abbiamo capito quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l'intelligence e le forze dell'ordine. La prevenzione è la chiave di un controterrorismo efficace". Poi c'è la questione del controllo del territorio: "Un'altra caratteristica – aggiunge Massolo – è avere un buon controllo del territorio. Da questo punto di vista, l'assenza di luoghi paragonabili alle banlieu parigine nelle grandi città italiane e la predominanza di città medio-piccole rende più facile il monitoraggio della situazione".
Un altro fattore centrale – spiega Francesca Galli, assistente universitaria alla Maastricht University ed esperta di politiche di antiterrorismo – "è che l'Italia non ha una consistente popolazione di immigranti di seconda generazione che sono stati radicalizzati o che potrebbero esserlo".
A questa considerazione segue un corollario: l'assenza di italiani di seconda e terza generazione che potrebbero essere suscettibili alla propaganda dell'Isis consente alle autorità italiane di focalizzarsi su chi non ha la cittadinanza, che può quindi essere deportato al primo segnale di pericolo, spiega Arturo Varvelli, ricercatore ed esperto di terrorismo dell'Ispi, secondo cui da gennaio l'Italia ha già espulso 135 individui.
C'è poi la questione delle intercettazioni telefoniche, uno strumento su cui le autorità italiane contano molto, scrive il Guardian. Da noi, infatti, a differenza che nel Regno Unito, le intercettazioni possono essere usate come prove nei processi e – in casi collegati a mafia e terrorismo – possono essere ottenute sulla base di attività sospette e non di prove solide.
L'infiltrazione e la distruzione delle reti terroristiche – scrive ancora il Guardian – richiede la rottura di relazioni sociali e persino familiari molto strette, proprio come nella lotta a Camorra, Cosa Nostra e 'Ndrangheta. Spiega ancora Galli: "le persone sospettate di jihadismo sono incoraggiate a dissociarsi dal gruppo e cooperare con le autorità italiane, che utilizzano i permessi di residenza e altri incentivi. Allo stesso tempo c'è la consapevolezza della pericolosità di tenere in carcere i sospetti terroristi, dal momento in cui la prigione è vista come un territorio particolarmente fertile per il reclutamento e la radicalizzazione (un po' come avveniva con i capi mafia). "Abbiamo una certa esperienza nel fronteggiare i network criminali", conclude la ricercatrice, "e abbiamo molti agenti sotto copertura che fanno un grande lavoro di intercettazione delle comunicazioni".
L'articolo passa in rassegna alcuni esempi di come vengono gestiti, in Italia, gli individui sospettati di attività terroristiche. L'esempio più recente è quello di Youssef Zaghba, il 22enne italiano di origini marocchine identificato come uno dei tre attentatori del London Bridge. Scrive il Guardian:
"Abbiamo imparato una lezione molto dura durante i nostri anni di terrorismo", spiega al Guardian Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) dal 2012 al 2016. "Da quegli anni abbiamo capito quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l'intelligence e le forze dell'ordine. La prevenzione è la chiave di un controterrorismo efficace". Poi c'è la questione del controllo del territorio: "Un'altra caratteristica – aggiunge Massolo – è avere un buon controllo del territorio. Da questo punto di vista, l'assenza di luoghi paragonabili alle banlieu parigine nelle grandi città italiane e la predominanza di città medio-piccole rende più facile il monitoraggio della situazione".
Un altro fattore centrale – spiega Francesca Galli, assistente universitaria alla Maastricht University ed esperta di politiche di antiterrorismo – "è che l'Italia non ha una consistente popolazione di immigranti di seconda generazione che sono stati radicalizzati o che potrebbero esserlo".
A questa considerazione segue un corollario: l'assenza di italiani di seconda e terza generazione che potrebbero essere suscettibili alla propaganda dell'Isis consente alle autorità italiane di focalizzarsi su chi non ha la cittadinanza, che può quindi essere deportato al primo segnale di pericolo, spiega Arturo Varvelli, ricercatore ed esperto di terrorismo dell'Ispi, secondo cui da gennaio l'Italia ha già espulso 135 individui.
C'è poi la questione delle intercettazioni telefoniche, uno strumento su cui le autorità italiane contano molto, scrive il Guardian. Da noi, infatti, a differenza che nel Regno Unito, le intercettazioni possono essere usate come prove nei processi e – in casi collegati a mafia e terrorismo – possono essere ottenute sulla base di attività sospette e non di prove solide.
L'infiltrazione e la distruzione delle reti terroristiche – scrive ancora il Guardian – richiede la rottura di relazioni sociali e persino familiari molto strette, proprio come nella lotta a Camorra, Cosa Nostra e 'Ndrangheta. Spiega ancora Galli: "le persone sospettate di jihadismo sono incoraggiate a dissociarsi dal gruppo e cooperare con le autorità italiane, che utilizzano i permessi di residenza e altri incentivi. Allo stesso tempo c'è la consapevolezza della pericolosità di tenere in carcere i sospetti terroristi, dal momento in cui la prigione è vista come un territorio particolarmente fertile per il reclutamento e la radicalizzazione (un po' come avveniva con i capi mafia). "Abbiamo una certa esperienza nel fronteggiare i network criminali", conclude la ricercatrice, "e abbiamo molti agenti sotto copertura che fanno un grande lavoro di intercettazione delle comunicazioni".
L'articolo passa in rassegna alcuni esempi di come vengono gestiti, in Italia, gli individui sospettati di attività terroristiche. L'esempio più recente è quello di Youssef Zaghba, il 22enne italiano di origini marocchine identificato come uno dei tre attentatori del London Bridge. Scrive il Guardian:
Ogni volta che Youssef Zaghba atterrava a Bologna, c'era qualcuno che lo aspettava in aeroporto. Non era un segreto in Italia che il 22enne [...] era sotto stretta sorveglianza. "Venivano a parlargli in aeroporto. Poi, durante il suo soggiorno, ufficiali di polizia venivano un paio di volte al giorno a controllare", ha raccontato al Guardian la madre del giovane, Valeria Collina. "Erano amichevoli con lui. Gli dicevano: 'Hey, figliolo, dimmi cosa hai fatto ultimamente. Cosa ti sta succedendo? Come stai?'".La notizia, nelle ultime ore, dell'arresto in provincia di Alessandria della 26enne Lara Bombonati con l'accusa di terrorismo internazionale sembra ricalcare il 'metodo' descritto qui sopra. Lara, che da almeno tre anni si faceva chiamare Khadija, era costantemente monitorata dalla Digos, che aveva iniziato a indagare su di lei dopo una denuncia di scomparsa da parte dei familiari, preoccupati dalla sua progressiva radicalizzazione.
[...] Franco Gabrielli, il capo della polizia italiana, ha raccontato degli sforzi dell'Italia per allertare il Regno Unito: "Abbiamo la coscienza pulita". Scotland Yard, dal canto suo, ha detto che Zaghba "non era un soggetto attenzionato né per i servizi dell'MI5 né per la polizia".
La domanda che tutti
si fanno è una: «Perché qui da noi non è ancora successo?». Un brutto
risveglio stamani a Roma, nel Paese, in Europa all'indomani
dell'ennesima strage terroristica «all'arma bianca», a Londra, con i
suoi morti e feriti. Che angoscia. Il timore è che prima o dopo toccherà
anche a noi. Purtroppo Nessuno è in grado di smentirlo. Ma ciò non
significa che si navighi a vista, che non siamo in grado di fronteggiare
la minaccia. È vero semmai il contrario. Mai come in questi ultimi due
anni, i nostri apparati di intelligence e di forze di polizia stanno
producendo risultati straordinari nell'attività di prevenzione e di
repressione.
Impressionava, stamani, alle prime luci dell'alba, in una Roma deserta prendere atto di una presenza massiccia di forze dell'ordine, di mezzi blindati e militari in tenuta di guerra. Uno scenario di catastrofe immanente. I Fori Imperiali, il Colosseo. Un blindato di traverso sui Fori. Un soldato che imbraccia il mitra. Altri blindati proteggono il Colosseo. Primi turisti in fila e l'Ama, l'azienda comunale di raccolta dei rifiuti, non si vede ancora. Occhi smarriti e angosciati.
Un anno terribile il 2017, e già c'era stato il 2016 e prima ancora il 2015. L'Europa è sotto attacco, è inutile negarcelo. Era iniziato nel 2005, con le bombe alle metropolitane di Madrid e Londra. Filiera pachistana di seconda generazione Londra, magrebini gli spagnoli, tunisini per la precisione. Al Qaeda, i Gruppi salafita per la predicazione e il combattimento. Poi le primavere arabe e la Siria. Il Daesh, l'Isis. E i foreign fighters, il turismo di guerra, combattenti che dai paesi europei si trasferiscono negli scenari di guerra, in Iraq, in Siria, qualcuno in Libia. Noi ne abbiamo circa 100, 900 i francesi, 700 i tedeschi e gli inglesi. E 600 i belgi. Numeri da aggiornare. Con le sottrazioni per i morti e le aggiunte per i nuovi combattenti per la jihad.
Ma con il passare degli attacchi anche l'Europa sta scoprendo di averli in casa, i terroristi. Sono cittadini europei di seconda, terza generazione. Figli che hanno genitori o nonni nati altrove, nell'Africa che si affaccia sul Mediterraneo. E perché da noi non è ancora successo? Francia, Germania, Inghilterra. E poi Belgio. Finora sono loro i Paesi martoriati dagli attacchi. Ieri, 3 giugno, Londra. Tre terroristi all'attacco con «armi bianche». Hanno usato un furgoncino per investire innocenti e coltelli per sgozzarne altri. Bilancio di sei morti e decine di feriti.
Neppure due settimane fa, Manchester, 22 maggio, 22 morti. Ragazzi a un concerto di una pop star, Ariana Grande. Un coetaneo, nato a Manchester ma di famiglia libica, si è fatto esplodere. Non c'è giorno che sui siti d'interesse, la propaganda jihadista non parli anche dell'Italia come possibile obiettivo. Ma intanto L'Inghilterra continua a essere teatro di morte. Prima di ieri è prima di Manchester era già successo il 22 marzo sempre nella capitale.
Sul ponte davanti al Parlamento di
Westminster, Khalid Masood, nato in Inghilterra, con il suo Suv ha
investito uccidendo 4 persone e ferendone 40. Eventi prevedibili ma non
prevedibili. È il mantra che da dopo l'assalto parigino al Charlie
Hebdo, con i suoi 12 morti, 7 gennaio 2015, investigatori e analisti
ripetono allargando le braccia.
In realtà, in Italia, si sta
lavorando «con la macchina della prevenzione, della repressione e della
integrazione al massimo». È la firma italiana, quella della
integrazione, sulla quale il ministro dell'Interno, Marco Minniti, sta
puntando le sue carte. Ripete spesso che «l'accoglienza ha solo un
limite nella capacità di integrazione». Se non c'è integrazione c'è
anche il terrorismo.
Gli analisti del Viminale e della intelligence hanno decine di islamici sotto controllo. Un minimo sospetto e il presunto estremista si ritrova espulso per motivi di sicurezza nazionale. Tra il 2016 e il 2017 circa centocinquanta li abbiamo cacciati. Probabilmente dobbiamo anche a queste espulsioni se non è ancora successo quello che tutti si aspettano che accada.
L'Italia è sempre stata il luogo
dove i terroristi trascorrono vacanze e supermarket di strumenti di
lavoro. Insomma, qui è sempre stata presente una rete logistica per i
rifornimenti di documenti contraffatti e di rifugi. Nella notte tra il
22 e 23 dicembre scorso, durante un controllo notturno di polizia alla
stazione di Sesto San Giovanni, a Milano, è stato ucciso il tunisino
Anis Amri, l'autore della strage di Natale a Berlino. Alla guida di un
camion, Amri, il 19 dicembre, ha falcidiato la folla di un mercatino
natalizio uccidendo 12 persone.
Gli ultimi attacchi in Europa hanno dimostrato che i terroristi scelgono obiettivi ad alta intensità di presenze di persone: mercatini, locali da ballo, per concerti. A Parigi,con gli assalti al Bataclan e ad altri locali, 130 morti. A Nizza, il 14 luglio scorso, 84 morti. Un francese nato in Tunisia ha imboccato con un Tir, Promenade des Anglais. Ed è stata strage.
Integrazione, espulsioni, monitoraggio di ambienti radicali. La nostra macchina di prevenzione e repressione è al massimo. Questo non significa che in futuro non potrà accadere anche da noi. È quello che sentì dire in tutti i palazzi della Capitale. Ma intanto partono nuove direttive alle prefetture. Oggi pomeriggio il ministro dell'Interno riunisce il Casa, Il Comitato di analisi strategica antiterrorismo. Non è un evento straordinario. Ormai succede con frequenza. Ed è un segnale di normalità in una stagione che non è normale.