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28/12/2016

Moon River : dedica romantica

 

Pensando all'anno che sta finendo dedico questo video da me creato presente nel mio canale YOUTUBE ed eseguito dal quartetto AMENA , alle amiche di Facebook ed a quelle lettrici che seguono i miei blog sia in Italia che all'estero.





https://www.youtube.com/user/CAPUTMUNDI68?feature=mhee







Moon River (brano musicale)


Moon River è un brano musicale composto da Johnny Mercer e Henry Mancini nel 1961. Fa parte della colonna sonora del film Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn e ha vinto l'Oscar per la migliore canzone nell'edizione 1962.

Il brano

Mercer e Mancini scrissero la canzone appositamente per la Hepburn in modo che fosse adatta alla sua estensione vocale. Moon River viene cantata dall'attrice nella scena in cui il personaggio interpretato da George Peppard, Paul "Fred" Varjak, scopre Holly Golightly (Audrey Hepburn) che canta accompagnandosi con una chitarra alla finestra.

In origine, le parole iniziali scritte da Mercer erano "I'm Holly, like I want to be, like Holly on a tree back home. ...", ma in seguito vennero modificate e rese più adatte al tema del film.
La versione originale cantata da Audrey Hepburn non è inclusa nell'album della colonna sonora di Breakfast at Tiffany's; una versione registrata da Mancini e dal suo coro fu pubblicata come singolo ed entrò nella Top 40 in undicesima posizione nella classifica Billboard Hot 100 nel 1961 e vinse il Grammy Award alla registrazione dell'anno, il Grammy Award for Best Arrangement nel 1962 ed il Grammy Hall of Fame Award nel 1999.

Cover

In seguito, fu registrata dal cantante sudafricano Danny Williams, che raggiunse e mantenne il n. 1 nelle classifiche britanniche per due settimane. Poco dopo, Andy Williams ne registrò una versione famosa, che costituì il suo più grande successo. Molti altri artisti ne hanno fatto una cover, tra cui Art Blakey, Jerry Butler, Ray Conniff, Frank Sinatra, Bobby Darin, Perry Como, Louis Armstrong, Paul Anka, Sarah Vaughan, Sarah Brightman, Billy Eckstine, Liz Callaway, Westlife, The Afghan Whigs, Morrissey, Mina, R.E.M., Judy Garland, Nico Fidenco, Patsy Ann Noble, Victoria Williams, Barbra Streisand, Bradley Joseph, The Innocence Mission, Ania, James Last, Katie Melua, Lesley Garrett ed Elton John (dal vivo), Bobby Solo.

Solo dopo la morte della Hepburn nel 1993 venne finalmente pubblicata la versione originale della canzone nell'album Music from the Films of Audrey Hepburn. Nonostante il successo delle versioni di Danny Williams ed Andy Williams (nessuna parentela fra i due), per molti la semplice registrazione della Hepburn rimane la più riuscita.
Il brano è reinterpretato in spagnolo dalla voce bianca del Programa de Canto Infantil Padre Soler (Università Carlos III) Pedro José Sanchez Martinez, nel film di Pedro Almodòvar La mala educación.

Curiosità

  • Un'insenatura vicino Savannah, in Georgia, città natale di Johnny Mercer, è stata chiamata "Moon River" in suo onore. Andy Williams diede questo nome alla sua compagnia di produzione di Branson, Missouri.

25/12/2016

Mean Girls - Jingle Bell Rock ballata "a bischero"






Jingle Bell Rock


Jingle Bell Rock è un noto brano natalizio, inciso e pubblicato originariamente nel 1957 dal cantante statunitense Bobby Helms per la Decca. Gli autori dalla canzone sono Joe Beal e Jim Boothe.[1]

Il brano ha raggiunto una grande notorietà divenendo un classico natalizio del tardo Novecento, venendo riproposto in occasione della festività del Natale sia nella sua versione originale, più volte rientrata nelle classifiche di vendita dei singoli nel corso degli anni,[2] sia grazie a numerose cover incise da altri artisti.

La versione originale è stata inoltre riproposta in innumerevoli raccolte di canzoni natalizie da parte della casa discografica.[3]
È stata inoltre inserita, nella versione di Helms, nella colonna sonora del noto film Mamma, ho riperso l'aereo - Mi sono smarrito a New York, avente come protagonista Macaulay Culkin.[4]

Cover

La notorietà del brano presso il pubblico è stata mantenuta grazie anche alla sua riproposizione attraverso versioni alternative, incise e riprese da altri artisti più o meno noti.
Tra le prime cover del brano spicca la versione della cantante statunitense Brenda Lee, proposta nel 1964 e di particolare successo soprattutto negli Stati Uniti negli anni sessanta.[5] Ancora prima, nel 1959, la versione di Max Bygraves è entrata in classifica in Regno Unito.[6] Altra versione nota di quegli anni è quella incisa da Chubby Checker e Bobby Rydell nel 1961.[7] Nel 1963 è stata incisa una nuova versione da parte del duo musicale Paul & Paula, inclusa nel loro album Holiday for Teens.[8] Wayne Newton ha inciso la sua versione nel 1966,[9] L'anno successivo è stata incisa da Floyd Cramer,[10] nel 1968 da Herb Alpert & The Tijuana Brass per l'album Christmas Album[11] nel 1969 da Johnny Mathis, per il disco Give Me Your Love for Christmas.[12]

Nel 1983 è stato poi ripreso da Daryl Hall & John Oates,[13] dai The Platters per Christmas Love Songs (1986)[14] e tre anni dopo da Teresa Brewer per Teenage Dance Party.[15]
La canzone è stata inoltre reincisa nel 1992 da due artisti: da Neil Diamond, per The Christmas Album,[16] e da Randy Travis, per A Very Special Christmas 2.[17] Due anni dopo è stata ripresa dai The Ventures, che l'hanno pubblicata come singolo per la EMI.[18] L'orchestra Hollyridge Strings ha inciso una versione orchestrale come medley con un altro classico natalizio, Jingle Bells, nel 1996. Questa versione è rintracciabile in Ultra Lounge: Christmas Cocktail.[19]

Nel primo decennio del Duemila il brano è stato rieseguito in altre numerose versioni, tra cui quella dei 38 Special del 2001,[20] del 2005 delle Girls Aloud[21] e del 2006 di Billy Idol.[22] Nel 2009 è stata sfruttata dagli svizzeri Furbaz per Messadi da Natal[23] e l'anno successivo dai Bo Katzman Chor.[24] La cover più famosa è quella realizzata da Hilary Duff Altre cover sono state realizzate da: Ashanti, Ashley Tisdale, Bill Haley & His Comets, Chris Brown, Flabby, Lindsay Lohan, Kylie Minogue e Vanessa Hudgens.
In Italia, il pezzo è stato inciso nel 2009 da Cristina D'Avena per il suo disco Magia di Natale (la cantante riproporrà questa sua interpretazione anche nell'edizione deluxe dell'album, pubblicata cinque anni più tardi) e nel 2013 da Mina per il disco Christmas Song Book.

18/12/2016

CINEMA - Rogue One: A Star Wars Story

 

Un salto nel passato di STAR WARS : la costruzione della Morte Nera.



mymovies.it

Rogue One: A Star Wars Story (2016)


Jyn Erso è la figlia di Galen Erso, un ingegnere scientifico ribelle, costretto dall'Impero alla costruzione di un'arma di distruzione di massa nota come la Morte Nera. Jyn ha cercato per quindici anni di dimenticare il padre, dandolo per morto, finché un pilota disertore non le ha consegnato un messaggio urgente segreto, proveniente da Galen stesso. Insieme al capitano Cassian Andor e al suo droide imperiale riprogrammato dai ribelli, la ragazza parte allora alla ricerca del genitore e di uno spiraglio per fermare i piani apocalittici del malvagio imperatore.

Rogue One è "una storia di Star Wars", una delle tante possibili nell'universo sviluppatosi dal Big Bang mentale di George Lucas, oggi in piena, rinnovata espansione. La Disney promette già un capitolo dietro l'altro, come sta facendo con l'acquisita Marvel, e allora forse, tra qualche anno, Rogue One non apparirà più grande di una "stellina" nel firmamento della saga, ma, anche fosse, sarà una stella con una sua luce propria, solida e brillante, per ragioni diverse e concorrenti.

Prima, la sua posizione geografica nella mappa stellare: temporalmente precedente al quarto (Una nuova speranza) e successivo al terzo (La vendetta dei Sith), questo episodio è contenuto niente meno che da quarant'anni in quella prima didascalia scorrevole del primo Guerre Stellari di sempre ("...Navi spaziali ribelli, dopo aver colpito una base segreta, hanno ottenuto la loro prima vittoria contro il malvagio Impero Galattico. Durante la battaglia, spie ribelli sono riuscite a rubare i piani tecnici dell'arma decisiva dell'Impero, la Morte Nera..."). 

C'è poi la sua posizione simbolica, all'indomani del primo capitolo del nuovo canone, firmato J.J. Abrams: un film che, nel bene o nel male, al di là della sua natura di calco, ha mantenuto la promessa di risarcire i fan delusi dalla seconda trilogia di Lucas e di riportarli "a casa". Infine, la sua posizione estetica: di gran lunga più interessante, più polverosa e action, di quella proposta dal "Risveglio della forza".
Soprattutto, Rogue One , pur inserendosi a cuneo come un "midquel", è un episodio indipendente, che sa sfruttare la libertà che deriva da questa indipendenza per fare quello che Abrams non ha voluto o potuto fare, vale a dire raccontare una nuova storia. Estraendo la giovane Jyn dal nascondiglio sotterraneo, il personaggio di Whitaker dissotterra letteralmente qualcosa che era ancora sepolto, riportando in superficie il piacere dell'invenzione.

Il film ci mette un bel po' ad ingranare, ma, una volta che la squadra è al completo, non ha incertezze né cadute di tono. Presi singolarmente i componenti dell'equipaggio non appaiono straordinari: non lo è il droide che fa calcoli probabilistici né l'orientale cieco che crede nella Forza, ma è l'eroismo del gruppo a funzionare. Lì c'è Star Wars. Non solo e non tanto nelle apparizioni digitali, a loro modo ologrammatiche, dei vecchi eroi, ma nel sacrificio dei nuovi, che, rapidi come meteore, brevi come vite di santi, si fanno subito leggenda. 

L'impronta della serie è chiaramente anche altrove: nella coppia Felicity Jones-Diego Luna (il quale sfugge dal sabotare involontariamente il film, riprendendo punti sul fronte romantico), nei salti nell'iperspazio, nelle scene canoniche nelle città piantonate dall'esercito e nei bar malfamati, nel tema musicale di Darth Vader. Ma è più che mai nella sua indipendenza dall'obbligo di far tornare i conti a colpi di spiegoni che sta la felicità del film di Gareth Edwards: un "pilota" che non avrà un gran senso dell'umorismo, ma sa come diavolo si manovra un film di fantascienza. 

TRAMA COMPLETA :  Rogue_One:_A_Star_Wars_Story

11/12/2016

Il migliore amico dell'uomo : il cane

 
Il cane è e sarà sempre il mio animale preferito. 
In passato mi hanno aiutato a loro modo a superare i momenti difficili e non a caso è definito il miglior amico dell'uomo. 
Un particolare affettuoso e triste ricordo al mio pastore belga (vedere link ADDIO MIO FEDELE AMICO) di cui ho voluto pubblicare un articolo ed un video appositi.
Storia dell'eterna amicizia tra uomo e cane.


MYSTERIUM





 


Rapporto uomo cane: un antico legame



 La storia d’amicizia tra cane e uomo si perde nella notte dei tempi, ma le innumerevoli conseguenze di questa “unione” sono, oggi più che mai, sotto i nostri occhi.
Il cane, come il gatto, è entrato a far parte della vita moderna, condivide con noi luoghi e talvolta emozioni e ne viene riconosciuto, dalla comunità scientifica,un suo valore, se non terapeutico, quanto meno d’aiuto.
Ma come fu, migliaia di anni fa, che l’uomo preistorico decise di “addomesticare” [1] quello che doveva essere l’antenato del nostro "canis familiaris"?
Come mai questo animale fu da sempre trattato con occhio diverso, rispetto alle altre razze che, nel tempo, vennero assoggettate alla mano dell’uomo?
Come fu che poi,riuscì a guadagnarsi un posto speciale nella società umana, fino a divenire un “animale d’affezione”? [2]

[1] Da notare l’uso del verbo“addomesticare”. Di derivazione latina, il verbo nasce da “domesticus” che significa “appartenente alla casa”. La parola stessa ci suggerisce, quindi, che “addomesticare un animale”, vuol dire qualcosa di più che “renderlo sottomesso ai nostri bisogni”, o “assoggettarlo alle nostre volontà”, bensì indica la possibilità di farlo entrare nella casa e quindi nei luoghi prettamente umani. E’ da notare che usualmente, questo verbo viene, infatti, usato solo per razze quali cane e gatto, quelle con il quale l’uomo, negli anni, ha istaurato un rapporto tipicamente affettivo e non solo utilitaristico.
[2] Per “animali d’affezione” si intende “quella categoria di animali che vengono trattati dall’uomo con affetto e tenerezza e sono tenuti più per piacere che per utilità; con questi si gioca e di esso ci si prende affettuosamente cura”

WEBSTER J.(1999), Il benessere animale,Bologna, Edagricole.

I primi tentativi d’addomesticamento del cane sembra risalgano probabilmente ad almeno 12000 anni fa, alla fine del Pleistocene. Le prime tracce pittoriche, rinvenute in una caverna in Iraq, raffiguranti un cane, sembrano confermare la datazione: nel Neozoico, è quindi lecito pensare che, l’antenato dell’uomo e quello del cane, condividessero territori e, probabilmente, cibo e spazi.
Molte erano le similitudini che accomunavano i due mammiferi:
le loro strutture sociali erano simili, gli uomini si radunavano in tribù o gruppi, i cani in branchi; così come comuni erano alcune loro modalità di comunicazione, quali le espressioni mimiche e gli atteggiamenti di posizione del corpo; sovente entrambi attaccavano prede più grandi loro, impresa questa, che richiedeva uno sforzo di squadra e la divisione dei compiti tra i membri del gruppo.

Quando, nel tardo Paleolitico e all’inizio del Mesolitico, i ghiacci cominciarono a ritirarsi, cani e uomini seguirono la dispersione delle mandrie di grossi animali; attirati dalle carogne cacciate, i cani possono essersi avvicinati agli agglomerati degli uomini, i quali li uccisero per cibarsene; i cuccioli, ormai orfani, possono essere stati presi ed addomesticati, per farne, magari, compagni di caccia.

Dalla sua probabile origine, nel sud-est asiatico, l’addomesticamento del cane si diffuse, ciò spiegherebbe la comparsa, del tutto improvvisa, di cani in Europa ed in Africa, arrivati con le migrazioni umane ed impiantati sul territorio al seguito dei “padroni”.
Introdotto in nuovi territori, il cane si è accoppiato con gli esemplari selvatici autoctoni dando così vita ai diversi ceppi che, negli anni, hanno prodotto le razze più antiche, quali i levrieri, i cani da pastore, i bracchi ed i molossi.[3]

[3] Numerosi studi cinofili, che tengono conto della morfologia delle razze odierne, ipotizzano che, il primo cane con cui l’uomo si è trovato a relazionarsi, non era, come è credenza comune, un lupoide, bensì un molossoide. I resti fossili delle ossa cranio mandibolari degli esemplari ritrovati, dimostrano chiaramente che ci si trovava di fronte ad un cane con muso corto, tozzo con mascella forte e quadrata, segni, questi, distintivi del cane molosso e non certo del lupo selvatico. Il tutto trova riscontro nelle rappresentazioni iconografiche che presentano cani di grande mole, con collo e torace possente e corporatura robusta. Da questi, grazie agli incroci fortuiti e forzati, sono derivate le numerose razze odierne. Da sottolineare che, un sicuro discendente di quegli esemplari tanto antichi e che ancora oggi porta gli inconfondibili tratti di quel cane che fu, è il nostro Mastino Napoletano, che fa parte delle razze autoctone italiane riconosciute.

Con il passare dei secoli e la nascita delle grandi civiltà, il ruolo sociale del cane appare sempre più delineato e rilevante.
Le raffigurazioni dell’animale sono numerose e disseminate in molti territori: bassorilievi Assiro-Babilonesi, ritraggono scene di caccia con uomini e mute di cani; soggiogata la Mesopotamia, Ciro Re di Persia, portò al seguito del suo esercito i quattro zampe trovati nei territori conquistati, tanto era grande la loro possenza.
Le tracce del canis familiaris si trovano nella cultura ateniese e, più avanti, in quella romana dove ne appaiono cenni nelle opere di Columella, di Varrone e nel terzo libro delle “Georgiche” di Virglio.

In questi testi, si fa riferimento all’uso e alla diffusione del cane nell’antica Urbe e nelle sue regione; se ne ricava così un quadro assai interessante: il cane, non solo era usato per la guerra o per i giochi con i gladiatori, ma ne è auspicato l’asilo nella propria casa, affinché possa svolgere il suo ruolo di guardiano vigile e fedele.
Nei manoscritti Medioevali, compare la dicitura “cane da pastore” e “cane da guardia”, segno che l’uomo ha imparato sempre meglio a conoscere e sfruttare le attitudini comportamentali di questo animale.

Dal XV secolo in avanti , le espressioni pittoriche mostrano chiaramente come il canis familiaris sia ormai una presenza costante nella vita umana: non c’è infatti tela che rappresenti banchetto reale o battuta di caccia in cui uomo e cane non siano insieme. Infatti in questo secolo, l’arte pittorica, si arricchisce sempre di più; la prevalenza di soggetti sacri decade ed i pittori cominciano a volgere il loro sguardo verso le scene di vita quotidiana. Il quadro diventa espressione e testimonianza di una società: l’artista rappresenta e, di conseguenza, tramanda ai posteri un pezzo di storia, aiuta ad interpretare i vizi e le virtù di un tempo.

In questo contesto va approfondito il filone dell’arte animalier, ossia quella moda tanto in voga degli artisti che, a partire dal seicento, ritraggono cani e scene di vita quotidiana dove, con i loro padroni, sono protagonisti in discussi. Ovviamente nel seicento, l’unica classe in grado di commissionare opere, era ancora la nobiltà e sono quindi i Reali del secolo che si fanno ritrarre con i loro amati cani.
In Inghilterra, Carlo I Stuart, commissionò ad Antoine van Dick (1599-1641) numerosi ritratti familiari.

Nel settecento, la pittura animalier si arricchisce di soggetti: non solo i nobili vogliono essere ritratti con i propri beniamini a quattro zampe, ma li vogliono anche come unici soggetti, per mostrarne la bellezza, la prestanza fisica e la bravura nella caccia, sport molto praticato dall’elitè nobiliare.
Tra settecento e ottocento, la borghesia in piena ascesa, rivendica il suo ruolo sociale. Gli artisti, ormai meno legati al mecenatismo nobiliare, cominciano a descrivere la vita giornaliera; i quadri diventano così specchi che catturano stralci di vita vissuta. Parte essenziale di questa società sono ancora i cani, che non vengono più rappresentati in scene di caccia o in posa con i loro padroni, ma sono ritratti all’interno della famiglia, nella casa di cui fanno parte.

Come si può notare quindi, in questo piccolo excursus artistico, al di là della gratificazione estetica, l’inserimento del cane come soggetto nei dipinti, è sintomatico di un atteggiamento psicologico e sociale della classe nobiliare prima e borghese poi, che fa di questo animale una parte essenziale della vita sociale e privata.
Dal Rinascimento in avanti qualcosa quindi cambia nelle dinamiche relazionali tra due e quattro zampe: il cane non è più un membro importante per l’economia della società umana, non si caccia più, se non per sport, l’arte della guerra si è affinata ed i morsi dell’antico mastino sembrano non essere più indispensabili per la vittoria.

Perché quindi l’uomo continua a circondarsi da questa specie?
Perché ancora lo accoglie sotto la sua tavola?
Perché si fa ritrarre dai pittori con il suo cane preferito?
Perché proprio in questo tempo cominciano a nascere gli allevamenti?
Probabilmente la risposta va cercata nell’animo umano, capace di rispondere, come ogni altra specie animale, a quel istinto atavico che si chiama “attaccamento”.



 
it.wikipedia.org

Cane da pastore belga (Groenendael)


Il cane da pastore belga Groenendael è la più diffusa delle varietà del cane da pastore belga, una razza canina di cane da pastore riconosciuta dalla FCI (Standard N. 15, Gruppo 1, Sezione 1).
Escludendo lo standard di razza, ha molte caratteristiche in comune con le altre tre varietà meno sviluppate: il Laekenois, il Malinois ed il Tervueren.

 

Storia

Il primo allevatore a selezionare una varietà di questa razza, fu il signor Nicolas Rose, che aveva una femmina di nome Petite completamente nera con macchie bianche su petto e punta dei piedi, che fece ricoprire da un maschio con lo stesso mantello, di nome Picard d'Uccle, dalla prima cucciolata fu selezionato un cucciolo maschio a pelo lungo nero, che prese il nome di Duc de Groenendael, questo stallone, è il progenitore di tutti i pastori belga della varietà Groenendael.


Picard d'Uccle e Duc de Groenendael

Descrizione

La coda è ben piazzata, forte alla base e di media lunghezza. Come colore è ammesso unicamente il nero. Il pelo è corto sulla testa, sulla faccia esterna alle orecchie, sulla parte bassa degli arti, salvo che sul bordo posteriore dell'avambraccio che è guarnito di peli lunghi che si estendono al gomito alle articolazioni del metacarpo, detti frangia. Pelo lungo e liscio sul restante corpo. Coda guarnita di pelo lungo ed abbondante, formante pennacchio. Gli occhi sono di grandezza media, la forma è leggermente a mandorla, di colore brunazzo, preferibilmente scuro. Le orecchie sono di apparenza nettamente triangolare, rigide e dritte, attaccate alte, di lunghezza proporzionata, conchiglia ben arrotondata alla base. La testa è ben cesellata, lunga, a senza esagerazione e asciutta. Cranio e muso di uguale lunghezza. Muso di lunghezza media. Canna nasale dritta con assi cranio-facciali paralleli. Labbra di pelle sottile. Guance ben piatte anche se muscolose. Stop moderato, arcate sopracciliari non prominenti. Cranio di lunghezza media.

Carattere

È una razza molto duttile e versatile con grande efficacia nei compiti più svariati: per la guardia, la difesa, la guida per non vedenti, come cane da catastrofe, da valanga, da compagnia e, naturalmente, da pastore. Il Pastore Belga è un cane vigile e attivo, ricco di vitalità e sempre pronto all'azione. Ottimo per la guardia delle proprietà e di tutte le cose considerate sotto la sua custodia, è anche un tenace difensore del suo proprietario. Il suo temperamento vivo e vigile, unito al suo carattere sicuro, senza alcuna paura né aggressività, deve sempre apparire dall'atteggiamento del corpo e dall'espressione fiera ed attenta dei suoi occhi brillanti.

Cure

Durante la crescita non sono necessarie cure particolari: è sufficiente alimentarlo con una dieta bilanciata che, per definizione, non richiede alcuna integrazione, specie di sali di calcio. Per quanto riguarda il mantello, deve essere spazzolato ogni due-tre settimane e togliere allo stesso tempo il pelo morto, specie nel corso della stagione estiva.

Consigli

Il pastore belga è un cane fondamentalmente nevrile. Per questo motivo ha bisogno, più di altre razze, di una persona che sappia imporsi al suo fianco come capobranco indiscusso. È dunque importante avere con lui polso fermo e procedere ad una buona educazione di base. Si raccomanda anche un eventuale corso di addestramento, per mettere ben in luce tutte le sue potenzialità

Diffusione

Nel 2004 l'ENCI ha contato 664 cuccioli iscritti ai libri genealogici in tutte le varietà della razza.

Adatto per..



10/12/2016

Sardegna (omaggio alla seconda madre)

 

Un omaggio alla regione della mia seconda madre.

VIDEO N° 1:
Youtuber bufeddu
Pochi gruppi trasmettono quello che riesce al gruppo MURALES di Orgosolo. Accompagnati dalle voci del Tenore che intona la poesia SU PASTOREDDU CANTENDE di Giuseppe Raga di Bonnanaro, incantano la platea della sagra di S.Efisio 2009. Grazie al fascino e bellezza degli antichi costumi, alla bravura dei ballerini ed alle voci ancestrali del Tenore, rappresentano l'espressione più autentica della cultura della Sardegna e della gente di Orgosolo. Non folklore ma cultura di un popolo.




VIDEO N° 2:
Youtuber toponi 1953

Spunta la Luna dal monte


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Spunta la Luna dal monte è la versione in italiano della canzone Disamparados, scritta da Luigi Marielli, componente dei Tazenda, che la affidarono ancora inedita a Pierangelo Bertoli per presentarla al Festival di Sanremo 1991. La versione in gara, eseguita da Bertoli insieme ai Tazenda, si piazzò al quinto posto della classifica finale ed è l'unione della versione originale con il testo in italiano scritto dallo stesso Bertoli, che poi la inciderà individualmente nell'album Italia d'oro.

La canzone

Il singolo ottenne giudizi molto positivi dalla critica, ricevendo come riconoscimento la "Targa Tenco", e vendette circa 1.500.000 copie, risultando il quattordicesimo più venduto in Italia nell'anno solare 1991. Al Festival il brano venne abbinato fuori gara con la versione in spagnolo dal titolo Y ya viene amaneciendo (Sta già albeggiando), suonata dalla band sudamericana Moncada.
Il testo originale è la descrizione di un paesaggio della Sardegna in cui la Luna sorge da dietro le montagne e in cui si vedono bambini poveri che giocano in un prato, i disadattati, in logudorese "Disamparados". Il testo in italiano non si discosta da questo paesaggio crepuscolare.
Nel 2013 Luca Bonaffini, collaboratore storico di Pierangelo Bertoli, ha pubblicato il libro La notte in cui spuntò la luna dal monte, nel quale racconta - in qualità di testimone - la genesi della canzone, scritta la notte tra il 6 e il 7 gennaio 1991.

Formazione

Bandiera dei quattro mori



 
it.wikipedia.org

Sardegna

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La Sardegna (Sardìgna o Sardìnnia in sardo[4], Sardhigna in sassarese, Saldigna in gallurese, Saldenya in algherese[5], Sardegna in tabarchino) è la seconda isola più estesa del mar Mediterraneo. La posizione strategica della Sardegna al centro del Mediterraneo occidentale[6][7][8] e la sua ricchezza mineraria ha favorito nell'antichità il suo popolamento e lo svilupparsi di traffici commerciali e scambi culturali tra i suoi abitanti e i popoli rivieraschi.[9]
La Sardegna, insieme con le isole e gli arcipelaghi che la circondano, copre inoltre l'intero territorio amministrativo di una regione italiana a statuto speciale, la cui denominazione completa ed ufficiale è Regione autonoma della Sardegna/Regione autònoma de Sardigna[10]. Amministrativamente è divisa in quattro province, una città metropolitana e 377 comuni, è ritenuta parte dell'Italia insulare ed è in terza posizione per superficie[11], ma in undicesima per popolazione.[12] Lo Statuto Speciale, sancito nella Costituzione del 1948, garantisce l'autonomia amministrativa delle istituzioni locali a tutela delle peculiarità geografiche e linguistiche.
Ricca di montagne[13], boschi, pianure, territori in gran parte disabitati, corsi d'acqua, coste rocciose e lunghe spiagge sabbiose, per la varietà dei suoi ecosistemi l'isola è stata definita metaforicamente come un micro-continente[14]. In epoca moderna molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la sua bellezza, rimasta incontaminata almeno fino all'età contemporanea[15][16], nonché immersa in un paesaggio che ospita le vestigia della civiltà nuragica.[17]

Geografia fisica


Altimetrie della Sardegna
La Sardegna ha una superficie complessiva di 24.100 km²[1] ed è per estensione la seconda isola del Mediterraneo[18], dopo la Sicilia, e la terza regione italiana, sempre dopo la Sicilia e il Piemonte[19]. La lunghezza tra i suoi punti più estremi (Punta Falcone a nord e Capo Teulada a sud) è di 270 km[20], mentre 145 sono i km di larghezza (da Capo dell'Argentiera a ovest, a Capo Comino ad est)[20]. Gli abitanti sono 1,66 milioni[2] per una densità demografica di 69 abitanti per km². Dista 188 km (Capo Ferro - Monte Argentario) dalle coste della penisola italiana[21], dalla quale è separata dal mar Tirreno, mentre il Canale di Sardegna la divide dalle coste tunisine del continente africano che si trovano 178 km più a sud (Capo Spartivento - Cap Serrat)[21]. A nord, per 11 km[22], le Bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica e il mar di Sardegna, a ovest, dalla penisola iberica e dalle isole Baleari. Si situa tra il 41º ed il 39º parallelo, mentre il 40º la divide quasi a metà.

Geologia


Struttura del basamento metamorfico-granitico della Sardegna nel Paleozoico.
La storia geologica della Sardegna iniziò con la cosiddetta fase sarda dell'orogenesi caledoniana all'inizio del Paleozoico[23], in cui si formò il primo nucleo dell'attuale Sulcis[23], per poi emergere completamente, insieme alla Corsica, durante l'orogenesi ercinica (Carbonifero).
Attraverso gli spostamenti e gli scontri tra la grande placca africana, quella eurasiatica e quella nord-atlantica, tra i trentacinque e i tredici milioni di anni fa lungo la costa che attualmente va dalla Catalogna alla Liguria, si creò una profonda frattura da cui circa venti milioni di anni fa, si originò a nord-est il distacco di una micro-placca che comprendeva le attuali Sardegna e Corsica[24].
Le due isole raggiunsero la loro posizione attuale circa sei/sette milioni di anni fa e al fenomeno della migrazione si aggiunse più tardi la tensione di apertura del mar Tirreno[25], che creò conseguentemente la conformazione orientale tra le due isole e la penisola italiana.
Benché nel passato siano stati documentati dei terremoti, la Sardegna è ritenuta una zona non sismica e tutti i comuni che la compongono sono classificati in zona sismica 4.[26][27] Sul suo territorio infatti non passano faglie che possano generare terremoti di rilievo. Gli unici risentimenti macrosismici appartengono a scosse che sono avvenute e potranno avvenire nel Tirreno centrale e meridionale.

Montagne e colline

Più dell'80% del territorio è montuoso e collinare[22]. Il 68%[22] è formato da colline e da altopiani rocciosi per un'estensione complessiva di 16.352 km²[28]. Alcuni di questi sono assai caratteristici e vengono chiamati giare o tacchi. L'altimetria media è di 334 m s.l.m[29]. Le montagne costituiscono il 14% del territorio[22] per un'estensione complessiva di 3.287 km²[28].
Culminano nel centro dell'isola i monti di Punta La Marmora, a 1.834 m, Bruncu Spina (1829 m) e Monte Spada (1595 m), situati nel Massiccio del Gennargentu[30], nonché il Monte Albo e il Supramonte che comprende il Monte Corràsi di Oliena (1.463 m). A nord, emergono i Monti di Limbara (1.362 m), i Monti di Alà (1.090 m) e il Monte Rasu (1.259 m). In Ogliastra svettano i tacchi con Punta Seccu alta 1000 m in territorio di Ulassai. A sud il Monte Serpeddì (1.069 m), il Massiccio dei Sette Fratelli, (1.023 m), il Monte Linas (1.236 m) ed i monti dell'Iglesiente e del Sulcis che digradano verso il mare con minori altitudini[31].

Lago Omodeo, visto dalle campagne di
Sedilo

Pianure, fiumi e laghi

Le zone pianeggianti occupano il 18% del territorio[22] (per 4.451 km²[28]); la pianura più estesa è il Campidano[29] che separa i rilievi centro settentrionali dai monti dell'Iglesiente, mentre la piana della Nurra si trova nella parte nord-occidentale tra Sassari, Alghero e Porto Torres. I fiumi hanno prevalentemente carattere torrentizio[29]: i più importanti sono il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas, il Cedrino, il Temo ed il Flumini Mannu[32]. I maggiori sono sbarrati da imponenti dighe che formano ampi laghi artificiali[29] utilizzati principalmente per irrigare i campi, tra questi il bacino del lago Omodeo, il più vasto lago artificiale d'Italia[33]. Seguono poi il bacino del Flumendosa, del Coghinas, del Posada. L'unico lago naturale è il lago di Baratz, situato a nord di Alghero.

Isole e coste

Le coste si articolano nei golfi dell'Asinara a nord, di Orosei ad est, di Olbia a nord-est, di Cagliari a sud e di Alghero e Oristano ad ovest. Per complessivi 1.897 km[34], sono alte, rocciose e con piccole insenature che a nord-est diventano profonde e s'incuneano nelle valli (rias).[35]
Litorali bassi e sabbiosi, talvolta paludosi, si trovano nelle zone meridionali e occidentali: sono gli stagni costieri, zone umide importanti dal punto di vista ecologico. La più estesa delle quali è quella dello stagno di Cabras e delle zone paludose adiacenti.[36]
Molte isole ed isolette la circondano e tra queste la più grande è l'isola di Sant'Antioco (109 km²), seguono poi l'Asinara (52 km²[37]), l'isola di San Pietro (50 km²[38]), La Maddalena (20 km²) e Caprera (16 km²). I quattro punti estremi sono: Capo Falcone (a nord), Capo Teulada (a sud), Capo Comino (ad est) e Capo dell'Argentiera (ad ovest)[20].

Clima

Il clima mediterraneo è tipico della Sardegna[39]. Lungo le zone costiere, dove risiede la gran parte della popolazione, grazie alla presenza del mare[40] si hanno inverni miti. Le estati sono calde e secche[39], caratterizzate da una notevole ventilazione. Le brezze marine e la costante ventilazione permettono di sopportare le elevate temperature estive che superano normalmente i 30 °C e raggiungono anche i 35 °C[40]. Nelle zone interne pianeggianti e collinari il clima, a causa della maggior lontananza dal mare, si registrano temperature invernali più basse ed estive più alte[40] rispetto alle aree costiere. Il clima è nel complesso abbastanza mite, ma durante l'arco dell'anno si possono avere valori minimi invernali di alcuni gradi al di sotto dello zero[41] e massimi estivi anche superiori ai +40 °C[42].
Sui massicci montuosi nei mesi invernali nevica frequentemente e le temperature scendono sotto lo zero, mentre nella stagione estiva il clima si mantiene fresco e raramente fa caldo per molti giorni consecutivi. La Sardegna inoltre è una regione molto ventosa; i venti dominanti sono il Maestrale ed il Ponente[43].

Ambiente naturale

Il paesaggio naturale della Sardegna alterna profili montuosi dalla morfologia complessa a macchie e foreste, stagni e lagune a torrenti tumultuosi che formano gole e cascate, lunghe spiagge sabbiose a scogliere frastagliate e falesie a strapiombo[44]. Le formazioni calcaree costituiscono il 10% della sua superficie e sono frequenti i fenomeni carsici nei settori centro-orientale e sud-occidentale, con la formazione di grotte, voragini, doline, laghi sotterranei, sorgenti carsiche, come quelle di Su Gologone di Oliena e di Su Marmuri di Ulassai. Notevoli sono le formazioni rocciose granitiche, caratterizzate da guglie frastagliate modellate dall'erosione degli agenti atmosferici, creando delle singolari sculture sparse su tutta l'isola, come l'Orso di Palau, l'Elefante di Castelsardo, il Fungo di Arzachena e sa Conca a Nuoro nel Monte Ortobene[45].
Sono sotto tutela come parchi naturali alcuni dei più importanti tratti della costa e ampi territori dell'interno. Questo patrimonio naturale si integra con quello storico e culturale, rappresentato dagli antichi siti d'interesse archeologico e dai resti dei più recenti complessi dell'attività mineraria. La Regione Autonoma per conservare e valorizzare questo patrimonio unico, ha definito con la legge n. 31 del 7 giugno 1989 le aree protette sottoposte a tutela. Complessivamente si contano: 2 parchi nazionali, 2 parchi regionali, 60 riserve naturali, 19 monumenti naturali, 16 aree di rilevante interesse naturalistico, 5 oasi del WWF[46]. Dal 1985 la Sardegna è dotata di un corpo forestale proprio, denominato Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna.

Muflone
, uno dei simboli della fauna sarda

Fauna terrestre

Il patrimonio faunistico annovera diversi esempi di specie di grande interesse. La fauna dei Vertebrati superiori mostra analogie e differenziazioni rispetto a quella del continente europeo: le analogie si devono alla migrazione nel corso delle glaciazioni oppure all'introduzione da parte dell'uomo nel Neolitico o in epoche più recenti, mentre le differenziazioni si devono al lungo isolamento geografico che ha originato neo-endemismi a livello di sottospecie o, più raramente, di specie.[47]
Le popolazioni dei grandi mammiferi erbivori (Cervidi e Muflone) hanno subito una drastica contrazione, arrivando a vere e proprie emergenze fino agli settanta, ma negli ultimi decenni hanno ripreso una sensibile crescita grazie alle azioni di tutela. Il Cinghiale sardo, invece, è ampiamente diffuso, così pure diverse specie di Roditori e Lagomorfi. I predatori più grandi sono la comune volpe sarda e il raro gatto selvatico sardo, ai quali si affiancano i piccoli carnivori come i Mustelidi. Tra i mammiferi, a parte la capra sarda, razza caprina, particolare curiosità desta una variante dell'asino domestico, ossia l'asinello bianco, presente solo sull'isola dell'Asinara (se ne contano circa 90 esemplari), ma anche il caratteristico Cavallino della Giara (Equus caballus Giarae), una specie di cavallo endemica[48], di origine incerta o molto probabilmente importati dai naviganti Fenici o Greci nel V-IV secolo a.C..
L'interesse per l'avifauna si articola in tre contesti: i rapaci, l'avifauna delle aree umide e quella delle scogliere. I rapaci sono rappresentati da quasi tutte le specie europee, fra le quali ci sono alcune sottospecie endemiche; si sono estinte due specie di avvoltoi e sopravvivono solo nei territori di Bosa e Alghero alcune colonie di grifoni. L'avifauna delle zone umide vanta un lungo elenco di specie, molte minacciate dalla forte contrazione dell'habitat. L'elevato numero di stagni costieri e lagune (circa 12.000 ettari, pari al 10% del patrimonio italiano) fa sì che questa regione annoveri ben otto siti di Ramsar (secondo posto in Italia, dopo l'Emilia-Romagna). Il simbolo di questa fauna è il fenicottero maggiore, che in alcuni stagni forma colonie di migliaia di esemplari.
Questa specie, storicamente svernante negli stagni sardi, da diversi anni è anche nidificante[49]. Dei 1.897 km di coste, il 76% è costituito da scogliere e da un grande numero di isole e scogli. È questo il regno degli uccelli marini, che possono formare colonie di migliaia di individui. Fra le specie di maggiore interesse c'è il rarissimo gabbiano corso. Ci sono, infine, 4 sottospecie endemiche di uccelli che sono il fringuello (f.c. sarda), il Picchio rosso maggiore (d. m. ssp. harterti), la cinciallegra (P. m. ssp. ecki) e la ghiandaia (g.g. ssp ichnusae). I vertebrati terrestri minori comprendono rettili ed anfibi fra i quali si annoverano molti importanti endemismi tirrenici, sardo-corsi o sardi; di questi, alcuni hanno una marcata ed esclusiva localizzazione geografica.

Flora terrestre

Pur derivando da un substrato comune mediterraneo, la flora in Sardegna è caratterizzata da specificità ed endemismi. Le zone fitoclimatiche presenti si limitano al Lauretum e alla sottozona calda del Castanetum, quest'ultima limitata alle aree interne e montuose più fredde: la vegetazione boschiva è, perciò, rappresentata in gran parte da macchia mediterranea e foresta sempreverde e solo oltre i 1.000 metri è significativa la frequenza delle specie caducifoglie del Castanetum.[50]
L'essenza prevalente è il leccio, accompagnato e in parte sostituito dalla roverella nelle stazioni più fredde e dalla sughera in quelle più calde. Nelle stazioni fredde persistono, inoltre, relitti di un'antica flora del Cenozoico (tasso, agrifoglio, acero trilobo). Sulla sommità dei rilievi metamorfici del Paleozoico, a 1.000-1900 metri, si sviluppano steppe e garighe assimilabili alla flora alpina che, nelle altre regioni, occupa quote di 2.500-3.500 metri. La copertura boschiva è ciò che resta di intensi disboscamenti che hanno raggiunto il suo culmine nella seconda metà del XIX secolo.[51]
Il passaggio di vasti territori dalla Cassa Ademprivile al Demanio dello Stato e, in seguito, all'ex A.F.D.R.S. ha permesso la salvaguardia e la lenta ricostituzione del patrimonio boschivo residuo, nonostante la minaccia annuale degli incendi. Il grave degrado di vaste aree espone l'isola alla desertificazione, ma il patrimonio boschivo vanta alcune peculiarità, come la macchia-foresta del Sulcis, ritenuta la più vasta d'Europa, e la Foresta demaniale di Montes, una delle ultime leccete primarie del Mediterraneo. L'opera di tutela e recupero del patrimonio residuo pone la Sardegna come la regione italiana con maggiore superficie forestale, con 1.213.250 ettari di boschi (secondo i dati dell'Inventario nazionale foreste e carbonio del Corpo forestale dello Stato, pubblicati nel maggio 2007).[52]
Di grande interesse botanico, per gli endemismi e le rarità, sono anche le associazioni floristiche minori che popolano gli stagni costieri, i litorali sabbiosi e le scogliere.

Flora e fauna acquatiche

I paesaggi sommersi sono complessi e ricchi di colori e di varietà di pesci, spugne e coralli e sono caratterizzati dalla straordinaria limpidezza dell'acqua[53]; questa limpidezza favorisce il prosperare di numerose colonie di posidonia.[54]. Il segno inequivocabile della presenza delle praterie di posidonia è la presenza di mucchi di alghe che talvolta si trovano abbondanti sulle spiagge[55]. Un cenno particolare va fatto alla foca monaca: a lungo perseguitata dai pescatori e disturbata dai vacanzieri, è una specie a forte rischio d'estinzione[56]: l'ultima riproduzione documentata risale agli inizi degli anni ottanta.[57]

Endemismi

L'ambiente naturale sardo è caratterizzato da un elevato numero di endemismi. Alcuni di questi sono paleoendemismi, ossia relitti della fauna e della flora ancestrale risalente al Cenozoico prima del distacco della placca sardo-corsa dal continente europeo; queste specie, veri e propri fossili viventi, si sono anticamente estinte nelle terre continentali mentre sono sopravvissute in condizioni particolari in Sardegna.
La maggior parte delle specie endemiche sono invece neoendemismi, prodotti da un'evoluzione differenziale a partire dal Neozoico o da epoche più recenti, grazie all'isolamento geografico. Gli endemismi botanici accertati sono oltre 220 e rappresentano circa il 10% di tutta la flora sarda. Alcuni di questi sono delle vere rarità anche per il basso numero di esemplari e per la limitatissima estensione dell'areale, in alcuni casi ridotto a pochi ettari.
Nel 2002 nelle grotte del Gennargentu è stata scoperta la specie Plecotus sardus, una specie endemica di pipistrello[58], mentre nel 2014 è stata annunciata la scoperta dell' Amblyocarenum nuragicus, un ragno endemico dell'isola[59].

Grotte naturali

Le rocce della Sardegna sono ritenute tra le più antiche d'Italia.[60] Le formazioni carsiche coprono un'area abbastanza ristretta in rapporto a quelle granitiche o metallifere e costituiscono il 6% della superficie totale, ossia 1500 km².
Le formazioni geologiche più antiche risalgono al Paleozoico, ma altre formazioni sono apparse in periodi successivi, nel Mesozoico, nel Terziario e nel Quaternario, contribuendo alla creazione di una rimarchevole varietà di formazioni rocciose.
Molte grotte sono state scoperte per azzardo da archeologi alla ricerca di manufatti appartenuti alle antiche civiltà o da geologi alla ricerca di falde acquifere per migliorare l'approvvigionamento idrico o da minatori durante lavori in miniera.
Il patrimonio speleologico sardo comprende più di 1500 grotte[61]. L'area del Supramonte è quella più ricca, insieme alla zona del Sulcis-Iglesiente e al promontorio di Capo Caccia. Tra quelle sommerse, la Grotta di Nereo è ritenuta la più vasta in tutto il Mediterraneo. Le grotte litoranee più conosciute sono le Grotte di Nettuno ad Alghero e le grotte del Bue Marino a Cala Gonone. Fra quelle terrestri, alcune di rilievo sono quelle di Sa Oche-Su Bentu a Oliena, Is Zuddas a Santadi, Su Mannau a Fluminimaggiore, la grotta di Su Marmuri ad Ulassai, quella di Ispinigoli[62] presso Dorgali, di San Giovanni presso Domusnovas e la grotta di Santa Maria nel Sulcis.[63]

Storia

«La Sardegna è una delle terre mediterranee, in cui la geografia ha più duramente e direttamente inciso sugli eventi della sua storia»: a cominciare dai primi elementi che sono l'insularità e la sua posizione nel Mediterraneo, al centro di «vicende antichissime, di flussi ininterrotti di civiltà, eppure così defilata rispetto agli approdi finali di questi larghi ed intricati sommovimenti».[64] Dall'insularità dipende non tanto il suo isolamento, quanto il modo in cui gli influssi esterni hanno operato nei diversi territori dell'isola.[65] L'insularità è una forza permanente e decisiva del passato sardo, ma insieme a questa c'è la montagna responsabile, se non più del mare, dell'isolamento delle popolazioni[66]. Secondo Maurice Le Lannou è la morfologia stessa dell'isola che ha generato il suo carattere arcaico e totalmente auctotono.[67]
Di seguito sono evidenziati tre periodi - fra i tanti della storia della Sardegna - che maggiormente hanno segnato l'Isola:

Sardegna nuragica

Circa settemila nuraghi[68], mediamente uno ogni 3 km², centinaia di villaggi e tombe megalitiche sono la testimonianza di una singolare civiltà che si è sviluppata nell'isola a partire dal II millennio a.C. Il nuraghe[69] era il centro della vita sociale degli antichi Sardi, ma, oltre alle torri, altre strutture caratterizzarono la loro cultura, come le tombe dei giganti[70] e i pozzi sacri[68] dalla raffinata tecnica costruttiva; un altro simbolo di questa civiltà sono i bronzetti[71], arrivati numerosi fino ai giorni nostri.
I Nuragici erano un popolo di guerrieri e navigatori, di pastori e di contadini, suddiviso in tante tribù[69] che abitavano nei cosiddetti "cantoni"[68]. Commerciavano con i Micenei e i Minoici, con i popoli Iberici, i Fenici e gli Etruschi, lungo rotte che attraversavano il mar Mediterraneo dalla Spagna al Libano.

Sardegna giudicale

Altro periodo storico singolare nel contesto mediterraneo fu quello giudicale, quando a partire dal IX secolo le istituzioni locali si riformarono, rendendosi autonome da Bisanzio; ebbe così inizio il periodo dei giudicati, una forma originale di governo che durò per i successivi seicento anni[72].
Nell'isola probabilmente si formò in origine un'unica entità statuale autonoma nella sostanza, su cui Bisanzio esercitava una autorità solo nominale. Solo dopo il tentativo di conquista musulmana da parte di Mujāhid al-ʿĀmirī, sventato dai Sardi per terra e dalle flotte di Pisa e Genova per mare[73], si formarono i quattro regni indipendenti di Torres, di Gallura, di Arborea e di Calari che diedero vita ad una efficace organizzazione politica ed amministrativa caratterizzata da elementi di modernità rispetto ai regni coevi continentali. Il territorio era diviso in curatorie[74] che, secondo alcuni studiosi, ricalcavano i confini degli antichi cantoni nuragici.
Grazie all'abbondanza di risorse naturali, prosperarono nuovamente l'agricoltura e la pastorizia; i commerci ebbero nuovo impulso e così le arti, come l'architettura in stile romanico pisano. Si sviluppò, inoltre, un sistema giuridico locale il cui apice fu raggiunto con la promulgazione della Carta de Logu arborense nel XIV secolo «considerata una delle più importanti Costituzioni di princìpi del Medioevo»[75].
Tuttavia le ingerenze fra gli stessi Giudicati delle repubbliche marinare, in particolare di Pisa, si erano fatte col passare dei secoli sempre più insistenti e, al volgere del XIII secolo, solo il regno giudicale di Arborea era riuscito a mantenere la propria indipendenza e sovranità.

Regno di Sardegna

Il Regno di Sardegna fu istituito nel 1297 da papa Bonifacio VIII in ottemperanza al trattato di Anagni del 24 giugno 1295; venne istituito per risolvere la crisi politica e diplomatica sorta tra la Corona d'Aragona e il ducato d'Angiò a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1297, affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re della Corona di Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo.
Fu conquistato territorialmente a partire dal 1324 con la guerra mossa dagli aragonesi, in alleanza con i sardi arborensi, contro i pisani. La conquista fu successivamente a lungo contrastata dalla resistenza sull'isola dello stesso regno di Arborea e poté considerarsi parzialmente conclusa solo nel 1420, con l'acquisto dei rimanenti territori dall'ultimo Giudice per centomila fiorini d'oro[76].
Le istituzioni del Regno (aventi sede a Cagliari, la capitale[77]), oltre al Vicerè, di nomina reale, erano le Cortes e la Real Udiencia: le Cortes erano un parlamento pattizio, in cui erano rappresentate le città regie, la chiesa e la nobiltà feudale[78]; la Real Udiencia, istituita nel 1564, era il supremo tribunale del Regno, da cui deriva l'attuale Corte d'appello e, in assenza del Vicerè, ne assumeva i compiti di governo[79].
Con l'acuirsi delle scorrerie dei pirati saraceni, a partire dal XVI secolo fu impiantato un efficiente sistema di difesa con numerose torri litoranee e le piazzeforti di Alghero e Cagliari mentre nel XVII secolo furono fondate le due Università di Sassari e Cagliari[80].
Il Regno di Sardegna fece parte della Corona di Aragona fino al 1713 (anche dopo il matrimonio di Ferdinando II con Isabella di Castiglia, allorquando l'Aragona si legò prima alla Castiglia, e poi dal 1516, in epoca già asburgica, anche alle altre entità statuali da loro governate) quando subito dopo la guerra di successione spagnola, entrò a far parte dei domini degli Asburgo d'Austria; nel 1720 con il trattato dell'Aia la Sardegna venne ceduta, dopo la breve riconquista da parte della Spagna, a Vittorio Amedeo II, al tempo duca di Savoia. In cambio, all'Austria fu assegnata la Sicilia.
Nel 1847, con la cosiddetta Fusione perfetta, tutti i possedimenti della Casa Reale sabauda confluirono nel Regno; per mezzo di tale controverso atto giuridico scomparvero conseguentemente le ultime vestigia statuali acquisite in periodo iberico (carica vicereale, parlamento degli Stamenti[81], suprema corte della Reale Udienza). L'isola divenne così, nell'interpretazione che ne ha dato il Casula[81], una regione di uno Stato più ampio, dalla configurazione non più composta come lo era stato dopo il 1720, bensì unitaria. La residuale denominazione "Regno di Sardegna" venne mantenuta ancora per anni finché, una volta raggiunta l'unificazione politica della penisola italiana, mutò nome nel nuovo Regno d'Italia[82]. Purtuttavia, l'inno del regno sabaudo rimase, fino all'instaurazione della repubblica italiana, s'hymnu sardu nationale (l'inno nazionale sardo), affiancato alla Marcia Reale[83].

Onorificenze

Conferita il 11/10/2010:

Toponimo

Ben conosciuta nell'antichità sia dai Fenici che dai Greci, fu da questi ultimi chiamata Ichnussa (in greco Ιχνούσσα) o Sandàlion (Σανδάλιον) per la somiglianza della conformazione costiera all'impronta di un piede (sandalo)[85]. Sempre i Greci la chiamarono anche Argyróphleps Nèsos (Αργυρόφλεψ Νήσος) ossia l'isola dalle vene d'argento per l'abbondanza nelle sue miniere di quel metallo[86] Per loro la Sardegna era l'isola più grande di tutto il mar Mediterraneo e tale rimase nella conoscenza degli antichi navigatori per lungo tempo, in quanto la lunghezza delle coste sarde (1.232 km escluse le isole) è effettivamente maggiore di quelle siciliane o cretesi.
Secondo recenti studi linguistici, l'appellativo latino Sardinia deriverebbe da un'altra denominazione greca conosciuta come Sardò, Σαρδώ (con l'accento sulla ω - òmega - ossia la o, come i nomi in lingua sardiana di Buddusò e Gonnosnò), nome di una leggendaria donna della quale si ha notizia nel Timeo di Platone e le cui origini venivano da Sàrdeis, Σάρδεις, capitale della Lidia, luogo dal quale Erodoto farà provenire sia le genti etrusche che quelle sarde[87].
Sallustio nel I secolo d.C. sosteneva che: «Sardus, generato da Ercole, insieme ad una grande moltitudine di uomini partito dalla Libia occupò la Sardegna e dal suo nome denominò l'isola», e Pausania nel II secolo d.C. confermava quanto detto da Sallustio aggiungendo che: «Sardo venne dalla Libia con un gruppo di coloni ed occupò l'Isola il cui antico nome, Ichnusa, mutò in Sardò (...)»[88]. In una stele in pietra risalente all'VIII / IX secolo a.C. ritrovata nell'odierna Pula, centro comunale comprendente l'antica città di Nora, appare scritto in fenicio la parola b-šrdn che significa in Sardegna, a testimonianza che tale toponimo era già presente sull'Isola all'arrivo dei mercanti fenici[89].

Stemma, bandiera e inno

Il Decreto del presidente della Repubblica del 5 luglio 1952 concede alla Regione autonoma la possibilità di fregiarsi di uno stemma e di un gonfalone. La legge regionale 15 aprile 1999, n. 10 stabilisce all'Art. 1: La Regione adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura. Di origine incerta, l'emblema dei quattro mori rappresenta un forte elemento identitario ed il suo uso è documentato costantemente a partire dalla costituzione del regno di Sardegna e Corsica (1324) fino alla nascita della Regione Autonoma.
Nelle varie epoche storiche, lo stemma è stato rappresentato con diverse varianti: la forma grafica attuale riproduce quella consolidatasi nel secolo XVIII ai fini istituzionali.[90] Nel luglio 2012 è stata presentata in Consiglio regionale una proposta di legge che prevede il riconoscimento del canto "Su patriotu sardu a sos feudatarios", composto nel 1794, quale inno ufficiale della Sardegna[91]; noto popolarmente con il nome di Procurade de moderare, barones, sa tirannia, il testo fu scritto dal magistrato Francesco Ignazio Mannu in un periodo di fermento politico nutrito degli ideali democratici francesi e contrassegnato da un rinnovato sentimento patriottico, di cui fa fede la data istituzionalizzata del 28 aprile che, conosciuta come Sa die de sa Sardigna, rammenta la ribellione popolare antipiemontese contro i soprusi baronali[92].

Cultura

Attraverso un lungo ed elaborato percorso storico, alle iniziali culture indigene si aggregarono molteplici apporti di civiltà provenienti dal mondo mediterraneo, contribuendo a formare un'eterogeneità culturale dai tratti fortemente originali. L'archeologia ha evidenziato chiaramente questa lunga evoluzione, ritrovandone tracce nel variare dell'architettura delle costruzioni attraverso i secoli, ma questo lungo cammino si riscontra anche nelle tradizioni legate intimamente all'arte delle produzioni artigianali,[93] alle variegate espressioni musicali, alle regole interne del mondo agro-pastorale e alla cultura sarda in generale.
I ritrovamenti e le preziose testimonianze del passato sono raccolte e custodite in numerosi musei e nei parchi archeologici sparsi sul territorio. Da diversi anni è in vigore una legge emanata dalla Regione autonoma della Sardegna che ha dato nuovo impulso alla riorganizzazione dei luoghi preposti alla custodia delle testimonianze del passato. Oltre ai musei, alle biblioteche ed agli archivi storici, sono stati riorganizzati anche i parchi archeologici e gli ecomusei, espressione viva della memoria storica del territorio.[94]

Lingua protosarda

Secondo alcune interpretazioni, gli antichi Sardi del periodo prenuragico e nuragico conservarono senza rilevanti alterazioni lingua e costumi pre-indoeuropei dell'Europa Antica. In base ad alcune teorie, la lingua sardiana o protosarda sarebbe stata affine a quella etrusca[95][96], mentre secondo altre lo sarebbe stata con quelle basco-iberiche; un'altra ipotesi ancora suppone che nell'isola fossero presenti popolazioni contraddistinte sia da parlate indoeuropee che pre-indoeuropee[97].

Lingue dall'antichità all'età moderna

Le prime testimonianze scritte in Sardegna risalgono al periodo fenicio-punico con documenti come la Stele di Nora, mentre la successiva provincia romana della Sardegna e Corsica ebbe ovviamente come lingua ufficiale il latino. Questo sarà soppiantato nell'uso ufficiale solo dal greco bizantino durante l'Esarcato d'Italia, ma ritornò in auge nella variante medievale come lingua colta, affiancando il sardo usato per vari documenti ufficiali come condaghe e Carta de Logu.[98]. Altri documenti furono redatti in più lingue, come gli Statuti Sassaresi, in latino e sardo, o in toscano, come il Breve di Villa di Chiesa a Iglesias. L'istituzione del Regno di Sardegna porterà all'utilizzo prima del catalano e poi dello spagnolo, che resterà lingua ufficiale fino a metà Settecento, sostituito dalle riforme di Giovanni Battista Lorenzo Bogino con l'italiano, introdotto per la prima volta nell'isola con un atto potestativo nel mese di luglio del 1760[99][100], e tuttora in uso.

Mappa delle lingue e dei dialetti parlati in Sardegna

Lingue attuali e dialetti

In Sardegna si parlano oggi diverse lingue romanze: sulla base dei dati ISTAT del 2006, l'italiano, correntemente espresso dalla gran parte dei locutori nella sua variante regionale, è la lingua più diffusa nell'isola, parlata abitualmente dal 52,5% della popolazione in ambito familiare[101]. Segue il sardo, ritenuto, subito dopo l'italiano,[102] la più conservativa tra le lingue romanze.[103] Secondo i dati ISTAT del 2006, il 29,3% della popolazione sarda alterna italiano e sardo in ambito familiare, mentre il 16,6% parla prevalentemente il sardo o altre parlate linguisticamente non italiane[101]. La lingua sarda, diffusa in larga parte dell'isola,[104][105] è ripartita da una parte dei glottologi[106] in due varianti fondamentali:
  • nel cosiddetto "capo di sopra" il sardo logudorese (sardu logudoresu) è la variante rimasta più simile al latino in desinenze e pronuncia e generalmente considerata quella di maggior prestigio letterario; in essa furono scritte molte poesie e componimenti come, per esempio, l'inno del Regno sabaudo, No potho reposare e l'inno patriottico Procurad'e moderare, barones, sa tirannia. Nel logudorese viene generalmente compresa come sottovarietà la variante nuorese e barbaricina (sardu nugoresu e sardu barbaritzinu), che si caratterizza per una ancor maggiore conservazione e fedeltà al latino ma con frequenti elementi arcaici del sostrato preindoeuropeo. Nella regione del Guilcer sono diffuse parlate di transizione col campidanese, a cui si sono ispirati gli studiosi che hanno elaborato la variante scritta della Limba Sarda Comuna, adottata dalla Regione nel 2006;
  • nel cosiddetto "capo di sotto" il sardo campidanese (sardu campidanesu) presenta vocaboli di matrice fenicio-punica oltre che nuragica, ed è parlato nell'intero meridione isolano, costituendone anche la variante più diffusa; nell'Ogliastra la parlata ha una matrice campidanese arcaica, con molti vocaboli barbaricini.
Altri linguisti[107] teorizzano, invece, la sostanziale omogeneità del sistema linguistico sardo, anche tenendo conto dell'oggettiva impossibilità nel tracciare un confine netto tra i sistemi dialettali per via dell'esistenza di numerose parlate con caratteri mediani (es. arborense, barbaricino meridionale, ogliastrino etc.).
Il sardo è stato utilizzato in diverse epoche come lingua istituzionale; tra i documenti più importanti vi sono i condaghi, gli Statuti Sassaresi e la Carta de Logu. Con l'approvazione della legge 482 del 1999, il sardo e il catalano sono stati riconosciuti e tutelati a livello statale come minoranze linguistiche storiche, mentre la tutela di sassarese, gallurese e tabarchino è riconosciuta dalla legge regionale 26 del 1997. Nell'ambito delle iniziative per la lingua sarda, la Regione ha avviato dei progetti denominati LSU (Limba Sarda Unificada) e LSC (Limba Sarda Comuna) al fine di definire e normalizzare trascrizione e grammatica di una lingua unificata che comprenda le caratteristiche comuni di tutte le varianti. Nell'aprile del 2006 la Limba Sarda Comuna è diventata lingua ufficiale per le comunicazioni in sardo dell'amministrazione regionale. Nel 2012 la giunta Cappellacci[10] introduce la dicitura «Regione Autònoma de Sardigna» in sardo, con la stessa evidenza grafica dell'italiano, nei documenti, nello stemma della Regione e in tutte le produzioni grafiche legate alla propria comunicazione istituzionale[108].
Accanto alla lingua sarda propriamente detta, nel nord dell'isola sono parlati due idiomi romanzi di derivazione corso-toscana:
  • nella regione nord-occidentale dell'isola, il sassarese (sassaresu) è parlato a Sassari e con piccole variazioni nella Nurra, Romangia e Anglona. È un idioma nato in tardo periodo medievale dalla commistione fra corso, pisano, ligure e la successiva forte influenza del sardo logudorese;
  • nella regione nord-orientale dell'isola, la Gallura, è parlato il gallurese (gadduresu /gaɖːu'rezu/) che si avvicina particolarmente al dialetto parlato nella Corsica del Sud, frutto e testimonianza dei contatti fra le due isole e delle migrazioni nello Stretto di Bonifacio avvenute dalla preistoria fin quasi ai giorni nostri ed in particolare dal medioevo al XVIII secolo.
Vi sono infine delle isole linguistiche, presenti nel versante occidentale dell'isola:

Archeologia

I primi insediamenti preistorici della Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore (450.000-150.000 a.C.) secondo gli archeologi che nel 1979-1980 scoprirono un'industria litica presso il rio Altana a Perfugas, in Anglona[109][110].
Nel IV millennio a.C. si sviluppò la prima espressione culturale di cui si trovano tracce in tutta l'isola, la Cultura di Ozieri[111]. I ritrovamenti archeologici conservati nei più importanti musei isolani hanno messo in risalto quale progresso sociale e culturale conseguirono le popolazioni preistoriche sarde.
Le testimonianze archeologiche della civiltà nuragica sono innumerevoli. Frammentata in cantoni e al centro di intensi scambi commerciali con i popoli che abitavano le coste del Mediterraneo, ha lasciato sull'isola importanti e numerose vestigia. I Fenici frequentarono assiduamente la Sardegna introducendovi le prime forme di urbanesimo[112]. Cartagine e Roma se la contesero lasciandovi tracce indelebili.
Sin dalla nascita dell'archeologia il territorio sardo fu ritenuto di grande interesse per i primi ricercatori. Nel XIX secolo il canonico Giovanni Spano diede inizio all'esplorazione dei maggiori siti, descrivendo poi le sue scoperte nel Bullettino archeologico sardo. Nei primi anni del XX secolo, l'archeologo Antonio Taramelli intraprese una serie di scavi nel sud dell'isola e la sua attività di recupero ed individuazione di nuovi siti continuò per circa trent'anni. Nel dopoguerra Giovanni Lilliu portò alla luce il villaggio nuragico di Su Nuraxi a Barumini, concorrendo ad aprire nuove prospettive e conoscenze sulla storia degli antichi Sardi[113].
A inizio XXI secolo sono in corso su tutto il territorio ulteriori e numerose campagne di scavi, che potrebbero fornire nuove testimonianze storiche sui periodi meno conosciuti[113].

Architettura

Dell'architettura preistorica in Sardegna sono presenti numerose testimonianze come le domus de janas (tombe ipogeiche), le tombe dei giganti, i circoli megalitici, menhir, dolmen e templi a pozzo[114]; tuttavia, l'elemento che più di ogni altro caratterizza il paesaggio preistorico sardo sono i nuraghi[115]., che si trovano numerosi e in varie tipologie. Numerose sono anche le tracce lasciate dai Fenici che introdussero sulle coste nuove forme urbane.
I Romani diedero un assetto organizzativo all'intera isola con la strutturazione di diverse città e la realizzazione di numerose infrastrutture di cui sono rimasti i resti, come il Palazzo di Re Barbaro a Porto Torres o l'anfiteatro romano di Cagliari. Anche dell'epoca protocristiana e bizantina rimangono diverse testimonianze in tutto il territorio sia sulle coste che all'interno, soprattutto legate ad edifici di culto.
Un particolare sviluppo ebbe nel periodo giudicale l'architettura romanica. A partire dal 1063 i judikes, attraverso cospicue donazioni, avevano favorito l'arrivo nell'isola di monaci di diversi ordini da varie regioni della penisola italiana e della Francia. Queste circostanze portarono ad operare nell'isola maestranze di diversa provenienza: pisani, lombardi e provenzali, ma anche di cultura araba, provenienti dalla penisola iberica, dando luogo a manifestazioni artistiche inedite, caratterizzate dalla fusione di queste esperienze.
Il caposaldo nell'evoluzione delle forme architettoniche è stata la basilica di San Gavino a Porto Torres[116]. Fra gli esempi più rilevanti si possono citare le cattedrali di Sant'Antioco di Bisarcio (Ozieri), San Pietro di Sorres a Borutta, san Nicola di Ottana e la cappella palatina di Santa Maria del Regno di Ardara e la basilica di santa Giusta. Oltre alle chiese di Nostra signora di Tergu, la basilica di Saccargia a Codrongianos e Santa Maria di Uta e, relativamente al XIII secolo, le cattedrali di santa Maria di Monserrato (Tratalias) e San Pantaleo (Dolianova).
Con il loro arrivo nel 1324 gli Aragonesi concentrarono le loro prime realizzazioni a Cagliari; la prima chiesa gotico-catalana della Sardegna fu il santuario di Nostra Signora di Bonaria.[117] Sempre a Cagliari negli stessi anni fu realizzata la cappella aragonese all'interno della cattedrale. Nella prima metà del XV secolo venne edificato un vero gioiello gotico, il complesso di san Domenico, che comprendeva la chiesa ed il convento, quasi completamente distrutto durante i bombardamenti aerei del 1943, e di cui rimane solo il chiostro. Altre realizzazioni furono le chiese di san Francesco di Stampace (di cui rimane solo una parte del chiostro), sant'Eulalia e san Giacomo. Ad Alghero nella seconda metà del XV secolo fu iniziata la costruzione della chiesa di San Francesco e nel XVI secolo della cattedrale.
L'architettura rinascimentale, pur scarsamente rappresentata, annovera esempi notevoli come l'impianto della Cattedrale di San Nicola di Sassari (tardo gotica ma dal forte influsso rinascimentale), la chiesa di Sant'Agostino di Cagliari (progettata dai Palearo Fratino), la chiesa di Santa Caterina a Sassari (progettata dal Bernardoni, allievo di Vignola) .
Al contrario, l'architettura barocca ha trovato ampio risalto:[118] esempi interessanti sono la Collegiata di Sant'Anna a Cagliari, la facciata della cattedrale di San Nicola a Sassari, la chiesa di San Michele a Cagliari, nonché le cattedrali di Cagliari, Ales e Oristano, ricostruite tra Seicento e Settecento.
A partire dal XIX secolo, grazie alle nuove idee ed esperienze importate da alcuni architetti sardi formatisi a Torino, si diffondono nell'isola nuove forme architettoniche di ispirazione neoclassica[119]. Tra le figure più importanti di questa fase architettonica e urbanistica è da citare quella dell'architetto cagliaritano Gaetano Cima, le cui opere sono disseminate in tutto il territorio sardo[120]. Accanto alle opere del Cima, sono da citare quelle di Giuseppe Cominotti (Palazzo e Teatro Civico di Sassari) e Antonio Cano (Cupola di S. Maria di Betlem a Sassari e la Cattedrale di Santa Maria della Neve a Nuoro). Nella seconda metà dell'Ottocento a Sassari fu realizzato il neogotico palazzo Giordano (1878) che rappresenta uno dei primi esempi di revivalismo nell'Isola, mentre risale al 1933 la facciata neoromanica della cattedrale di Cagliari.
Un'interessante realizzazione di gusto eclettico, derivato dal connubio fra ispirazioni a modelli revivalisti e liberty, risulta essere il palazzo Civico di Cagliari, completato nei primi anni del XX secolo. L'avvento del fascismo ha influenzato fortemente negli anni venti e trenta l'architettura anche in Sardegna[121]: interessanti realizzazioni di quel periodo sono i nuovi centri di Fertilia, Arborea e la città di Carbonia, uno dei massimi esempi di architettura razionalista[122].
Lo sviluppo turistico iniziato negli anni sessanta ha fatto sì che in Costa Smeralda si procedesse alla costruzione di edifici di notevole pregio architettonico unitamente al villaggio di Porto Cervo, più recenti sono altri edifici decisamente moderni come la torre del T Hotel o la sede della Banca di Credito Sardo, entrambi a Cagliari ed il secondo opera di Renzo Piano; esistono, inoltre, diverse tipologie abitative tradizionali, come la casa alta delle zone collinari e montane, costruite in pietra e legno, e le case a corte in ladiri (mattone in terra cruda)[123] del Campidano e diverse tipologie insediative, come gli stazzi in Gallura, i furriadroxius e i medaus nel Sulcis[124].

Arte

Il Neolitico fu il periodo in cui si rilevano le prime manifestazioni artistiche. Numerosi ritrovamenti delle tipiche statuine della Dea Madre e di ceramiche incise con disegni geometrici testimoniano le espressioni artistiche della preistoria sarda. Successivamente la Cultura nuragica produrrà le innumerevoli statuine in bronzo e l'enigmatica statuaria in pietra dei Giganti di Mont'e Prama.
Il connubio tra le popolazioni nuragiche e i mercanti provenienti da ogni parte del Mediterraneo portò ad una raffinata produzione di gioielli in oro, anelli, orecchini e monili di ogni genere, ma anche ceramiche, stele votive e decorazioni parietali.[125]
I Romani oltre all'architettura legata alle opere pubbliche, introdussero i mosaici e ornarono con sculture e pitture le ricche ville dei patrizi.[126]
Nel Medioevo, durante il periodo giudicale, le architetture delle chiese romaniche furono arricchite di capitelli, di sarcofagi, di affreschi, di altari in marmo e impreziosite successivamente da retabli, dipinti da importanti pittori come il Maestro di Castelsardo, Pietro Cavaro, Andrea Lusso, e la scuola del cosiddetto Maestro di Ozieri a cui facevano capo Giovanni del Giglio e Pietro Giovanni Calvano di origine senese.
Nel XIX secolo, per poi proseguire nel Novecento, si affermano nell'immaginario collettivo degli isolani i miti della genuinità del popolo sardo, di un'isola incontaminata e fuori dal tempo. Raccontata dai tanti viaggiatori che visitarono la Sardegna in quel periodo, tali miti verranno celebrati prevalentemente da artisti sardi quali Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Filippo Figari, Mario Delitala e Stanis Dessy. Nelle loro opere racconteranno i valori autoctoni del mondo agro pastorale, non ancora omologati alla modernità che premeva dall'esterno[127]. Altri artisti importanti della seconda metà del Novecento sardo sono Costantino Nivola, Maria Lai, Albino Manca e Pinuccio Sciola.

Letteratura

La prima opera letteraria in sardo risale alla seconda metà del Quattrocento: un poemetto ispirato alla vita dei santi martiri turritani ad opera dall'arcivescovo di Sassari Antonio Cano. La produzione letteraria ebbe un notevole sviluppo nel Cinquecento, il protagonista principale fu Antonio Lo Frasso, la sua Los diez libros de Fortuna de Amor è citata nel Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. L'opera è scritta principalmente in spagnolo, ma ci sono parti scritte in catalano ed in lingua sarda. Quello del plurilinguismo è un tratto caratteristico degli scrittori sardi di quell'epoca tra cui Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara e Pietro Delitala. Delitala sceglie di scrivere in italiano, o allora toscano, e Gerolamo Araolla scrive nelle tre lingue[128]. Ma già nel Seicento si ha una totale integrazione nel mondo iberico come dimostrato dalle opere in spagnolo dei poeti José Delitala y Castelvì, Josè Zatrilla e gli scrittori Francesco Angelo de Vico e Salvatore Vidal.
Nel 1720 il Regno di Sardegna passò a Vittorio Amedeo II di Savoia e la lingua ufficiale divene l'italiano anche se era permesso anche l'uso del francese. Nell'Ottocento si ha un rinnovato interesse degli autori sardi e non per la storia della Sardegna: Giovanni Spano intraprende i primi scavi archeologici, Giuseppe Manno scrive la prima grande storia generale dell'isola, Pasquale Tola pubblica importanti documenti del passato e scrive biografie di sardi illustri. Alberto La Marmora percorre l'isola in lungo in largo, studiandola nei particolari e scrivendo un'imponente opera in quattro parti intitolata Voyage en Sardaigne, pubblicata a Parigi e poi introdotta negli ambienti colti europei.
Nei primi del Novecento la società sarda viene raccontata da Enrico Costa, dal poeta Sebastiano Satta e da Grazia Deledda, quest'ultima insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1926. In questo secolo accanto alla produzione letteraria va ricordata l'esperienza politica di personaggi di grande valore come Antonio Gramsci ed Emilio Lussu. Nel secondo dopoguerra emersero figure come Giuseppe Dessì con il suo Paese d'ombre. In anni più recenti vasta eco ebbero i romanzi autobiografici di Gavino Ledda Padre padrone e di Salvatore Satta Il giorno del giudizio, oltre alle opere di Sergio Atzeni e dei viventi attivi negli ultimi decenni (Nuova letteratura sarda).[128]

Musica e danza

La musica tradizionale sarda, sia cantata che strumentale, è molto antica. In un vaso risalente alla cultura di Ozieri, circa 3.000 anni a.C., sono raffigurate scene di danza.[129] La caratteristica danza sarda chiamata su ballu tundu viene accompagnata dal suono delle launeddas, un antico strumento che viene fatta risalire ad un'epoca antecedente all'VIII secolo a.C.. Su questo strumento sono stati eseguiti diversi studi fra la fine degli anni 1950 ed i primo anni 1960 dal musicologo Andreas F. Weis Bentzon. Le launeddas sono tradizionalmente diffuse soprattutto nel Sarrabus, nel Campidano, nel Sinis e in Ogliastra.
Il Canto a tenore è tipico delle zone interne della Barbagia ed è ritenuto un'espressione artistica peculiare e unica al mondo. La prima testimonianza potrebbe risalire ad un bronzetto del VII secolo a.C. dove è raffigurato un cantore nella tipica posa dei tenores. Questo tipo di canto nel 2005 è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità[130]. Il cantu a chiterra (canto sardo accompagnato dalla chitarra) è un canto nato in Logudoro e diffusosi successivamente anche in Gallura e Planargia. Questo canto ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgono delle vere e proprie competizioni tra cantadores, accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista,[131] ed ha avuto popolarità a livello internazionale grazie all'attività di Maria Carta. In ambito colto, la Sardegna ha dato i natali a diversi compositori tra i quali si ricordano Luigi Canepa, Gavino Gabriel, Lao Silesu ed Ennio Porrino.

Donne in costume tradizionale

Costumi

Dai colori vivaci e dalle forme più svariate e originali, i costumi tradizionali rappresentano un chiaro simbolo di appartenenza a specifiche identità collettive. Sono considerati uno scrigno di tradizioni etnografiche e culturali dalle caratteristiche molto peculiari, frutto di secolari stratificazioni storiche.[132] Sebbene il modello base sia omogeneo e comune in tutta l'isola, ogni paese ha un proprio abbigliamento tradizionale, maschile e femminile, che lo differenzia dagli altri paesi.
Nel passato gli abiti si diversificavano anche all'interno delle comunità, svolgendo una precisa funzione di comunicazione in quanto rendevano immediatamente palese lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro in ambito sociale, la regione storica o il paese di appartenenza, un particolare stato civile (baghiàna/u, gathìa/u). Ancora oggi in varie parti dell'isola si possono incontrare persone anziane vestite in costumene, ma sino a metà Novecento il costume rappresentava il vestiario quotidiano in buona parte della Sardegna[133].
I materiali usati per la loro confezione sono tra i più vari: si va dall'orbace alla seta, al lino, dal bisso al cuoio. I vari componenti dell'abito femminile sono: il copricapo (mucadore), la camicia (camisa), il corpetto (palas, cossu), il giubbetto (coritu, gipone), la gonna (unnedda, sauciu), il grembiule (farda, antalena, defentale), in Ogliastra le donne di alcuni paesi hanno dei particolari ganci angancerias de prata sul copricapo. Quelli dell'abito maschile sono: il copricapo (berritta), la camicia (bentone o camisa), il giubbetto (gipone), i calzoni (cartzones o bragas), il gonnellino (ragas o bragotis), il soprabito (gabbanu, colletu), la mastruca, una sorta di giacca in pelle di agnello o di pecora priva di maniche (mastrucati latrones ovvero "briganti coperti di pelli" era l'appellativo con il quale Cicerone denigrava i Sardi ribelli al potere romano).

Feste

Le feste scandiscono da sempre la vita delle comunità isolane e in epoca moderna, soprattutto con la rivalutazione di molte sagre minori, sono legate al desiderio (ed alla necessità) di riaffermare la propria unica identità culturale[134]. In Sardegna, andare per feste significa immergersi in una cultura antica alla scoperta di suoni e di armonie sconosciute, di balli ritmici con ricchi costumi tradizionali, di gare poetiche fuori dal tempo, di sfrenate corse di cavalli, di sfilate folcloristiche - a piedi o a cavallo - con preziosi e coloratissimi abiti d'altri tempi.[135]
Spesso le feste durano diversi giorni e coinvolgono tutta la comunità; molte volte, per l'occasione, vengono preparati dolci speciali e organizzati banchetti con pietanze tradizionali a cui tutti possono partecipare. Le feste popolari più conosciute sono: Faradda di li candareri (proclamato patrimonio orale e immateriale dall'UNESCO nel 2013) a Sassari, la Cavalcata sarda a Sassari, Sant'Efisio a Cagliari, la Sagra di S.Antioco patrono di (Sant'Antioco), la Sagra del Redentore a Nuoro, S'Ardia a Sedilo, Sa Sartiglia a Oristano, San Gavino a Porto Torres, San Michele ad Alghero, la festa di Santa Vitalia a Serrenti, la festa dell'Assunta ad Orgosolo, la sagra di Santa Maria de is Acuas o Santa Mariàcuas a Sardara, la nota Festa del Rimedio ad Ozieri, San Simplicio a Olbia, i festeggiamenti del carnevale in Barbagia e Ogliastra, il carnevale allegorico di Tempio Pausania e i riti della Settimana Santa in varie parti dell'isola.

Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO

Università

La Sardegna è sede di due università statali: l'Università di Cagliari e l'Università di Sassari.

Enogastronomia

La cucina sarda è molto varia ed è basata su ingredienti semplici e originali, derivati sia dalla tradizione pastorale e contadina, che da quella marinara. Varia da zona a zona non solo nel nome delle pietanze ma anche nei componenti utilizzati[136]. Come antipasti sono diffusi i prosciutti di cinghiale e di maiale, le salsicce, accompagnati da olive e funghi, mentre per i piatti a base di pesce sono svariati gli antipasti di mare. Alcuni primi piatti tipici sono i malloreddus, i culurgiones ogliastrini, i cui ingredienti cambiano da paese a paese, il pane frattau, la fregula, la zuppa gallurese e le lorighittas. Come secondi piatti, gli arrosti costituiscono una peculiare caratteristica, tanto che quello del maialetto è considerato l'emblema della cucina sarda.

Il pane

Diverse tecniche, trasmesse di generazione in generazione per lavorare la pasta, insieme ai molteplici procedimenti per farla lievitare, contribuiscono ad offrire una vasta scelta di originali forme di pane in ogni regione dell'isola.[137] Alcuni tipi di pane più diffusi sono: il Pane carasau, tipico pane della Barbagia, composto da una sfoglia croccante, rotonda e piatta, il nome deriva da carasare che in sardo significa tostare, cosparso d'olio, salato e scaldato al forno viene chiamato pane guttiau[138]; il pistoccu (tipico ogliastrino), di spessore maggiore della sfoglia di pane carasau; la spianada, conosciuta anche come Cogones o Cogoneddas, pagnotta di semola di grano duro, dalla forma rotonda e non molto spessa[139]; in Ogliastra è tipico il pani pintau, i prodotti più significativi provengono da Tertenia e Ulassai, in quest'ultimo paese si realizza anche un pane unico nel suo genere il Pani de binu cotu, per le feste. Il civraxiu, tipico del Campidano, è una grande pagnotta che si consuma a fette; il coccoi a pitzus, pagnotta decorata di semola di grano duro; il pane 'e poddine, tipico del Logudoro e dell'Anglona, dal diametro di circa 40 cm, e noto anche con il nome di pane di Ozieri o anche pane ladu, è molto simile al pane che i greci, gli arabi e gli ebrei chiamano pita.

Dolci e pani votivi

Legata a particolari ricorrenze, la lavorazione dei pani votivi e la preparazione dei dolci in certe regioni dell'isola può diventare un'arte. Gli ingredienti sono semplici e vanno dalla farina di grano duro alle mandorle, al miele. In alcuni dolci si usa come ingrediente anche il formaggio o la ricotta[140]. A gennaio in alcune regioni, per i falò di Sant'Antonio, vengono preparati come dolci le cotzuleddas, i pirichitos e il pistiddu. Per Carnevale si preparano le frisolas, le catas, le orilletas e le tzìpulas.
Per la festa di San Marco sono tipici i pani votivi artistici, gialli per la presenza dello zafferano, decorati con delle particolari fantasie floreali viste come delle vere e proprie effimere opere d'arte. Per la Pasqua si preparano le pitzinnas de ou, le casadinas, le tzilicas e la pischedda. Per Ognissanti dolci caratteristici sono il pane de saba e i vari pabassinos. Per i matrimoni si preparano dolci molto variegati e ricchi di decorazioni come i singolari gatò, sos coros, s'arantzada . In altre occasioni sono comunemente diffusi il torrone ( turrone / -i ), le seadas, i rujolos, i mostaccioli, i sospiri, particolarmente delicate e pregiate le copulette (tiriccas) di Ozieri.

I formaggi

La Sardegna ha un'antica tradizione pastorale e offre una vasta produzione di formaggi pecorini esportati ed apprezzati ovunque, soprattutto in Nord America. Attualmente sono tre i formaggi D.O.P: il Fiore Sardo, il Pecorino Sardo ed il Pecorino Romano che, a dispetto del nome, è prodotto per il 90% nell'isola.

Vini e liquori

Come evidenziato da alcune ricerche archeologiche, la coltura della vite in Sardegna risale all'epoca della civiltà nuragica[141]. Tale tradizione è continuata con i Romani e poi attraverso le varie occupazioni straniere si è ancora arricchita. Tra i vini rossi si annoverano il Cannonau, il Monica, il Carignano del Sulcis, il Girò, mentre tra i bianchi vi sono quelli previsti dal disciplinare Vermentino di Gallura DOCG, la Malvasia di Bosa, il Nasco, il Torbato di Alghero, il Nuragus di Cagliari, il Moscato, la Vernaccia di Oristano[142]. A fine Novecento diversi vitigni minori sono stati riscoperti e sono oggetto di un'importante valorizzazione da parte di diversi produttori sardi.
È il caso di vitigni come il Cagnulari (che era in via di estinzione), del Caddiu (valle del Tirso), del Semidano[142] e altri. Vista la lunga tradizione, molti vini sono D.O.C., e variano di gusto e di gradazione a secondo delle regioni in cui vengono prodotti. Si produce l'acquavite che è nota con il nome di Filu 'e ferru o Abbardente. Tra i liquori il Mirto (sia bianco che rosso) ed il Villacidro sono tra i più diffusi.

Prodotto interno lordo pro capite nel 2009 nelle regioni dell ' Unione Europea

Economia

Secondo Eurostat[143] nel 2009 la Sardegna aveva un reddito pro capite a parità di potere di acquisto pari all'80,0 % della media dell'Unione europea; le regioni italiane più povere erano la Sicilia e la Calabria con il 68 %, la più ricca era la Provincia Autonoma di Bolzano con il 148 %. Tra le altre regioni insulari europee della fascia mediterranea la più ricca era la piccola regione greca dell'Egeo Meridionale col 114 %; seguivano la Sardegna solo l'Egeo Settentrionale col 76 %, le Azzorre col 75 % e appunto, la Sicilia.
Questi pochi dati, ad un'analisi superficiale, indicano che, all'interno di un paese con differenze regionali rilevanti rispetto ad altri paesi dell'Unione Europea, il livello di benessere dei sardi non è fra i peggiori, anzi, è tra i più elevati del mezzogiorno (tenendo in conto solo le medie regionali). Facendo il paragone con le altre regioni insulari della fascia mediterranea, pur non essendoci così elevate differenze, e tenendo conto della estensione territoriale e della consistenza demografica (solo la Sicilia e le Canarie sono più popolose, tutte le altre hanno meno di un milione di abitanti), la situazione della Sardegna non appare particolarmente rosea. Le ragioni del ritardo sono antiche e complesse: l'insularità è di per sé una diseconomia[144], la zona mediterranea è complessivamente in ritardo rispetto all'Europa centro-settentrionale, ma le scelte di politica economica di Governo e Regione non hanno permesso la diminuzione sostanziale del divario con l'Italia centro-settentrionale nonostante l'impiego di ingenti somme di denaro pubblico negli ultimi decenni.
I limiti principali allo sviluppo economico della Sardegna sono quindi legati soprattutto alla carenza di infrastrutture, in particolare nei trasporti sia esterni che interni, al costo complessivo del lavoro, del denaro e alla pressione fiscale, che gravano in equal modo sulle regioni geograficamente più favorite, e che non permettono alle imprese sarde in qualsiasi settore di essere competitive in un mercato sempre più aperto. L'illusione di un'economia differenziata, con la difesa ad oltranza di distretti industriali obsoleti, ha distratto finanziamenti e risorse che potevano essere meglio impiegati nell'unico settore di punta, il turismo, in produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto, soprattutto in agricoltura, e nella formazione professionale e ricerca nei settori trainanti per un loro ammodernamento.

Ripartizione in percentuale degli addetti nei diversi settori economici

Dati economici

Oltre al commercio, al pubblico impiego e alle nuove tecnologie, l'attività trainante dell'economia è il turismo, sviluppatosi inizialmente lungo le coste settentrionali dell'isola. Il terziario è il settore che occupa il maggior numero di addetti; gli occupati sono ripartiti nei tre settori nelle seguenti percentuali:
Il tasso di disoccupazione nel 2007, secondo l'ISTAT, si attestava sull'8,6%, nell'ultimo trimestre del 2008 il tasso è lievitato al 10,8%, ed è riconducibile alla recessione economica internazionale. La Sardegna ha il reddito pro capite più elevato tra le regioni del Mezzogiorno, con 16.837 euro.[145]

Industria

La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore minerario) è principalmente dovuta all'apporto dei finanziamenti statali al Piano di Rinascita[146] negli anni sessanta-settanta, che portò alla formazione dei cosiddetti poli di sviluppo industriali nei settori chimico, petrolifero e metallurgico[147][148] in varie aree dell'isola. Oltre ad essi sono attive imprese industriali nel settore alimentare, manifatturiero, metalmeccanico[149], edile e legato alla lavorazione del sughero[150].
L'energia viene prodotta da centrali termoelettriche (a carbone), idroelettriche (nei bacini artificiali) e da varie centrali eoliche[151].

Miniere

La Sardegna è la regione italiana con il sottosuolo più ricco di minerali[20]. Prima l'ossidiana[20][152], poi l'argento, lo zinco e il rame[20][152] sono stati fin dall'antichità una vera ricchezza per l'isola, posizionandola al centro di intensi traffici commerciali. Molti centri minerari erano sfruttati per l'estrazione di piombo, zinco, rame e argento, e dall'Ottocento in poi furono aperte miniere di carbone, antimonio e bauxite e oro[153]. Dopo il secolare sfruttamento, dalla seconda metà degli anni sessanta[152] molti siti minerari hanno cessato l'attività e le zone minerarie si stanno convertendo sempre di più al turismo legato all'archeologia industriale[154][155].

Gregge nelle campagne di
Lula
(
NU
).

Agricoltura e allevamento

Il 47,9% della superficie della Sardegna è sfruttata per pascoli e agricoltura[156]: di questo per il 60,1 % per l'allevamento, il 34,1 % per l'agricoltura e il resto è occupato da coltivazioni legnose[156]. In Sardegna vivono oltre 3 milioni di ovini[156], quasi la metà dell'intero patrimonio nazionale[157], a fronte di circa 12.600 pastori[158]. La Sardegna si è specializzata da millenni nell'allevamento ovino e, in minor misura, caprino e bovino[156]. Nell'isola si contavano nel 2012 126000 capi appartenenti alla razza "capra sarda". Oltre alla carne, dal latte ricavato si produce anche una grande varietà di formaggi[159].
Anche l'agricoltura ha avuto un ruolo molto importante nella storia economica dell'isola, soprattutto nella grande piana campidanese, particolarmente adatta alla cerealicoltura[159]. Nel XXI secolo è legata a produzioni specializzate come quelle cerealicola, vinicola, dell'olivicoltura, degli agrumi e del carciofo. Le bonifiche hanno aiutato ad estendere le colture e di introdurre alcune coltivazioni specializzate quali ortaggi e frutta, accanto a quelle storiche dell'ulivo e della vite che sono presenti nelle zone collinari.
Nel patrimonio boschivo è presente la quercia da sughero, la quale cresce spontanea favorita dall'aridità del terreno e che viene esportata; la Sardegna produce infatti circa l'80% del sughero italiano[160].

Pesca

Resa insicura in passato dalle frequenti scorrerie saracene e barbaresche[161], la pesca è un'attività affermatasi tra il Settecento e l'Ottocento[161], grazie alla pescosità dei mari circostanti e alla notevole estensione costiera dell'isola[162]. È molto sviluppata a Cagliari, ad Alghero e nelle coste del Sulcis[162], oltre ad avere rilevanza anche in Gallura e nell'Oristanese (anguille[163] e muggini[162]). Ottima è la produzione di mitili, specialmente a Olbia[162].
Nelle zone di Alghero, Bosa e Santa Teresa è molto attiva la pesca alle aragoste[164] insieme alla raccolta del corallo[162]. Di antica tradizione e mai abbandonata è la pesca del tonno[165] specie nei dintorni di Carloforte[166].

Artigianato


Gioielli sardi in filigrana
L'artigianato tradizionale sardo è un insieme di arti popolari estremamente vario, sviluppato in campi molto diversi, ricco di gusto e originalità. Alcune di queste forme artistiche sono di origine antica ed hanno subito l'influenza delle diverse culture che hanno segnato la storia dell'isola[167].
La tessitura in lana, cotone e lino di tappeti, arazzi, cuscini e tende è in larga parte ancora praticata a mano con telai di concezione molto antica. I gioielli tradizionali sono in filigrana[168]. Tra essi la corbula, ossia il bottone sardo. La lavorazione del legno è caratterizzata da prodotti originali come le cassapanche intagliate, le sedie impagliate di Assemini, le biseras dei Mamuthones,(le maschere tradizionali mamoiadine), e le produzioni in sughero di Calangianus[169].
L'artigianato della cestineria è molto diffuso, specie nell'oristanese. Le ceramiche hanno una forma semplice e lineare. Altra antica tradizione artigianale sarda è quella legata alla coltelleria artigianale, con la produzione della arresoja, resolza o resorza[170] nella cui lavorazione si distinguono gli artigiani di Pattada e Arbus.

Turismo

Grazie al clima mite, ai paesaggi incontaminati, alla purezza delle acque marine, la Sardegna attira ogni anno un gran numero di vacanzieri (nel 2007 le presenze turistiche per la prima volta hanno superato i 10 milioni di visitatori)[171]. I primi investimenti ed i primi piani di sviluppo risalgono al 1948 e furono attuati attraverso l'ESIT (Ente Sardo Industrie Turistiche). Il primo boom turistico si sviluppò a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, soprattutto ad Alghero e nella sua Riviera del Corallo. Pochi anni dopo nacque la Costa Smeralda che ben presto si affermò tra il jet set internazionale, divenendo la località turistica sarda per eccellenza grazie al turismo indotto dalla cultura di massa.
Dagli anni novanta, con la diffusione delle compagnie aeree low cost ha preso piede il fenomeno dei viaggi di breve durata in ogni periodo dell'anno; questa nuova tipologia di turismo ha avuto nell'isola un notevole sviluppo, favorendo la diversificazione, la destagionalizzazione ed interessando anche le zone interne ed il turismo culturale[172], oltre che il turismo equestre, l'escursionismo, il birdwatching, la vela e il free climbing.

Società

Evoluzione demografica

Nonostante una civilizzazione plurimillenaria e una popolazione residente quasi triplicatasi nell'arco di circa 140 anni, la Sardegna è una delle poche regioni europee in cui un'economia moderna e diversificata convive con un ecosistema naturale ancora intatto, se non vergine, in vaste aree del territorio; questo fatto è spiegabile demograficamente grazie alla bassa densità abitativa, pari a 69 ab./km², dato al terzultimo posto fra le regioni italiane, preceduto solo dalla Valle d'Aosta con 39 ab./km² e dalla Basilicata con 60 ab./km².
Facendo riferimento alla suddivisione amministrativa antecedente al 2016 questa densità si ritrova equamente distribuita fra le province che presentavano tutte valori simili (40, 85, 66, 31, 45, 53, 77 ab./km² per le province di Nuoro, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio, Oristano e Sassari rispettivamente), tranne nel caso della ex Provincia di Cagliari che toccava i 120 ab./km², dato comunque sempre sensibilmente inferiore alla densità media italiana di 201 ab./km².

Città e aree urbane

I centri urbani più importanti sono Cagliari, capoluogo regionale, e Sassari, secondo polo di rilevanza regionale.
Cagliari (154.333 ab.[182]) è a capo dell'omonima città metropolitana di 431.000 abitanti circa, i cui centri principali sono Quartu Sant'Elena (71.132 ab.), Selargius (28.995 ab.), Assemini (26.742 ab.), Capoterra (23.691 ab.), Sestu (20.698 ab.), Monserrato (20.107 ab.), Sinnai (17.116 ab.) e Quartucciu (13.175 ab.).
Sassari (127.601 ab.) e Alghero (44.075 ab.) sono le città che costituiscono la rete metropolitana del Nord Sardegna (col capoluogo sassarese come centro catalizzatore) che si espande soprattutto verso la Nurra e il golfo dell'Asinara che include anche Porto Torres (22.331 ab.), Sorso (14.675 ab.) e altri centri minori: Sennori, Castelsardo, Valledoria e Stintino per un totale di poco più di 225.000 abitanti.

Le due aree metropolitane, i centri fra 25.000 e 60.000 abitanti, e quelli oltre i 10.000
I centri urbani rimanenti svolgono funzione di polarità locale e hanno tutti una popolazione compresa tra 10.000 e 60.000 abitanti: Olbia (59.124 ab.), Nuoro (37.146 ab.), Oristano (31.644 ab.), Carbonia (28.808 ab.), Iglesias (27.199 ab.), Tempio Pausania (14.254 ab.), Villacidro (14.120 ab.), Arzachena (13.545 ab.), Guspini (12.005 ab.), Siniscola (11.477 ab.), Sant'Antioco (11.314 ab.), La Maddalena (11.369 ab.), Tortolì (11.020 ab.), Ozieri (10.681 ab.), Terralba (10.285 ab.) e Macomer (10.247 ab.).
Dei 377 comuni sardi, 19 possono fregiarsi ufficialmente del titolo di città: Alghero, Bosa, Cagliari, Carbonia, Castelsardo, Iglesias, Ittiri, Lanusei, Macomer, Nuoro, Olbia, Oristano, Ozieri, Quartu Sant'Elena, Sassari, Siniscola, Sorso, Tempio Pausania e Tortolì.

Immigrazione

La presenza dell'uomo moderno sull'isola risale al paleolitico superiore (grotta Corbeddu), ma è solo a partire dal neolitico che si ha una capillare occupazione del territorio grazie all'arrivo di nuove popolazioni dall'Europa continentale che introdussero la cosiddetta rivoluzione neolitica, originatasi nel Vicino oriente. Durante l'età dei metalli altre genti, provenienti da varie regioni europee, si spinsero sull'isola, sovrapponendosi o mischiandosi con chi le precedeva[183].
La particolare posizione geografica, inserita al centro del Mediterraneo occidentale, le ricchezze minerarie e le fertili pianure, hanno fatto della Sardegna, sin dall'antichità, un'isola molto ambita dalle potenze coloniali antiche. Dal VIII secolo a.C. circa, i Fenici si insediarono in alcune località costiere dove edificarono le prime città. Sempre in guerra con i nuragici, mai assoggettati del tutto, sia i Cartaginesi che i Romani fondarono nuovi insediamenti e deportarono nell'isola un vasto numero di schiavi, utilizzati per lavorare nelle miniere e nelle pianure come agricoltori, per la produzione intensiva di cereali[184].
Importante, nel medioevo, fu anche l'afflusso di genti toscane, liguri e còrse e successivamente iberiche durante la dominazione aragonese e spagnola, mentre in epoca moderna, nel XVIII secolo, ci fu l'insediamento dei tabarchini nell'isola di San Pietro (Carloforte) e nell'estremità settentrionale dell'isola di Sant'Antioco (Calasetta). Nella prima metà del XX secolo arrivarono alcune popolazioni venete, chiamate da Mussolini ad insediarsi nelle bonifiche dell'oristanese e che nel 1928 fondarono Mussolinia, in seguito rinominata Arborea. Molti minatori peninsulari giunsero da diverse parti d'Italia per popolare il grosso centro minerario di Carbonia, nel Sulcis (1938). Nel 1946 arrivarono gli esuli istriano-giuliano-dalmati scampati all'epurazione etnica perpetrata in Dalmazia e nell'Istria, che si stabilirono a Fertilia, nella Nurra di Alghero.[185][186] Tra la fine del XX secolo è l'inizio del XXI si è registrato un discreto flusso immigratorio di cittadini provenienti da altri paesi europei ed extra-europei. La popolazione straniera al 31-12-2014 ammontava a 45.079 persone, il 2,7% della popolazione totale sarda.[187].

Emigrazione

I primi flussi emigratori considerevoli si registrano verso la fine dell'Ottocento[188], fatto correlato anche all'interruzione del trattato commerciale con la Francia nel 1888. Considerando il periodo che va dal 1876 al 1903 gli espatri sardi furono verso il bacino del Mediterraneo e l'Europa (complessivamente il 61,9%[189]), mentre il resto dei flussi emigratori era quasi interamente destinato verso le Americhe[189] (di cui oltre il 92% con meta il Brasile[189]). Dai primi anni del Novecento il flusso divenne costante[188], dal 1901 al 1905 la destinazione principale fu l'Africa[189]. Dal 1906 al 1914 la media annuale crebbe in maniera considerevole e anche le destinazioni cambiarono infatti l'America divenne la meta più ambita seguita dall'Europa, mentre in Africa si indirizzò il flusso minore[189]
Dopo l'intervallo della I guerra mondiale il flusso riprese e nell'intervallo fra il 1919 ed il 1925 l'Europa assorbì la maggioranza degli emigranti[189]. In totale considerando l'intervallo dal 1876 al 1925 si contano 44.619 emigrati verso l'Europa[189], 44.169 verso l'America[189] e 34.190 verso l'Africa[189]. Dal 1987 al 1999, secondo le statistiche, sono emigrati 15.647 isolani[188] (82% in Europa, 16% nelle Americhe), mentre ne sono rientrati 12.869[188], con una differenza di 2.598 unità. La situazione all'inizio del XXI secolo vede la popolazione sarda emigrata all'estero stabilita nell'81% dei casi in alcuni dei maggiori paesi europei (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Svizzera)[188], altre mete sono nazioni come Inghilterra, Spagna, Argentina e Venezuela. Fra questi un numero cospicuo è costituito da giovani laureati[190]. Una caratteristica particolare del movimento migratorio sardo fu quello dell'emigrazione femminile che in alcuni periodi, come negli anni sessanta era pari come numero a quella maschile.

Amministrazione e politica

Lo Statuto autonomo

Secondo quanto disposto nel sito ufficiale della Regione, lo Statuto speciale è la Carta fondamentale della Sardegna.[191]. Approvato con Legge costituzionale nel 1948, esso fa parte integrante dell'ordinamento costituzionale italiano dove l'art. 116 prevede speciali condizioni di autonomia per l'Isola (insieme ad altre quattro regioni).
Per quanti si occupano di studi sardi, le speciali condizioni di autonomia sono il riconoscimento di situazioni storiche, geografiche, sociali, etniche e linguistiche fortemente caratterizzate.[192] Nel quadro della situazione statale, secondo l'allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, lo Statuto speciale rappresenta un unicum in risposta ad impegni, mai rispettati completamente, presi verso i sardi dai precedenti governi.[193].
Il percorso verso l'autonomia, dopo la sua perdita temporanea con la Fusione perfetta nel 1847, fu lungo e travagliato ed è passato attraverso un difficile processo di integrazione nello Stato unitario, richiedendo anche un pesante sacrificio di sangue durante la Grande guerra.[194]. A detta di alcuni storici, davanti al sacrificio delle fanterie sassarine sui fronti del Carso l'Italia avrebbe contratto un debito verso l'Isola.[194] Lo stesso Presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, visitando il fronte in uno dei momenti più critici promise ricompense alla fine del conflitto. Di ritorno a Roma disse in Parlamento: «Quando vidi i fanti della Brigata Sassari ebbi l'impulso di inginocchiarmi. La Nazione ha contratto un debito di riconoscenza per i sacrifici ed il valore dei Sardi in guerra, e questo debito pagherà».[194][195]. Al ritorno dal fronte gli ex-combattenti si organizzarono politicamente dando vita al Partito Sardo d'Azione la cui principale rivendicazione fu l'autonomia, riconosciuta con lo Statuto speciale - dopo la parentesi fascista - dall'Italia repubblicana il 22 dicembre 1947, cent'anni dopo la Fusione perfetta.[194] Lo Statuto fu emanato il 26 febbraio 1948.

Organizzazione della Regione


Palazzo della Regione, sede della Regione.
Le funzioni attribuite dallo Statuto alla Regione sono riconducibili a tre: funzione legislativa, funzione amministrativa, funzione politica e sono esercitate dai seguenti organi:
  • Il Presidente, votato direttamente dagli elettori sardi, guida la Giunta regionale composta da assessori da lui nominati e su cui ha potere di revoca delle deleghe[196]. Oltre a organizzare il lavoro dell'organo esecutivo regionale, il Presidente è la figura di rappresentanza della regione nei vari ambiti nazionali e internazionali, oltre che garante dell'autonomia della stessa[196]. Inoltre è colui che indice le votazioni riguardanti gli organi elettivi regionali nonché i referendum regionali. Dal 12 marzo 2014 il ruolo è ricoperto da Francesco Pigliaru[197], a capo della coalizione di centrosinistra risultata vincente nelle elezioni regionali del 16 febbraio dello stesso anno.
  • La Giunta regionale, scelta dal presidente della Regione (che ne è a capo), è l'organo di governo dell'Isola e detiene il potere esecutivo in ambito regionale[198]. Oltre al presidente della Regione, fanno parte della Giunta 12 assessori[198], aventi delega su un settore specifico di attività e a capo di altrettanti assessorati[198].
  • Il Consiglio regionale corrisponde al parlamento locale[199], essendo l'assemblea dotata di potere legislativo nell'ordinamento della Regione. Si compone di 60 consiglieri[200], ed ogni legislatura ha una durata quinquennale.

Partiti politici

Oltre ai partiti politici nazionali, sono presenti nell'Isola diversi partiti regionali, fra cui movimenti di ispirazione autonomista o indipendentista. Tra di essi il partito di più lunga tradizione sardista è il Partito Sardo d'Azione, fondato da Emilio Lussu e Camillo Bellieni[201] e che nella persona di Mario Melis negli anni ottanta espresse il Presidente della Giunta Regionale. Altri partiti locali sono presenti con propri eletti in Consiglio Regionale, e sono attivi diversi altri movimenti e gruppi politici indipendentisti.

Regioni storico-geografiche della Sardegna

Suddivisione amministrativa

Suddivisioni territoriali storiche

La Sardegna ha avuto nel tempo diverse suddivisioni amministrative e territoriali. Inizialmente, già in periodo romano, il territorio sardo era stato suddiviso in diocesi ecclesiastiche, successivamente, nel periodo medioevale, la Sardegna era ripartita in giudicati e in curatorie, con dei brevi intermezzi signorili e comunali. Poi durante il dominio aragonese e spagnolo, l'isola venne divisa in vari feudi con marchesati, baronie e contee, che lasciarono tracce profonde come nel caso della regione storica delle Baronie. Nel XIX secolo la Regione era già organizzata con prefetture, province, tribunali, mandamenti e comuni.
La Sardegna è suddivisa in regioni storiche che derivano direttamente, sia nella denominazione che nell'estensione, dai distretti amministrativi, giudiziari ed elettorali dei regni giudicali, le curatorie (in sardo curadorias o partes) che probabilmente ricalcavano una suddivisione territoriale ben più antica operata dalle tribù nuragiche.[202] Alcune denominazioni non sono più in uso, mentre altre persistono anche in epoca moderna.

Suddivisione territoriale

Nel 1848 durante il Regno di Sardegna l'Isola fu suddivisa in 3 divisioni (Cagliari, Nuoro e Sassari), in 11 province (Alghero, Cagliari, Cuglieri, Iglesias, Isili, Lanusei, Nuoro, Oristano, Ozieri, Sassari e Tempio Pausania), in 84 mandamenti e 363 comuni. Sempre durante il regno sardo-piemontese nel 1859 la Sardegna fu suddivisa in due province (Cagliari e Sassari), in 9 circondari (le ex province meno Cuglieri e Isili), in 91 mandamenti e 371 comuni. Questa suddivisione si mantenne fino al 1927 quando furono eliminati tutti i circondari in Italia.
Dal gennaio 1927 la Sardegna fu suddivisa in 3 province: Cagliari, Nuoro e Sassari, a cui si aggiunse Oristano nel luglio 1974. Il numero di questi enti raddoppiò con la piena operatività dal 2005 delle province di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio.
In seguito ai referendum regionali del 2012, riguardanti anche le istituzioni provinciali, è stato dato avvio a un processo di riorganizzazione amministrativa di questi enti intermedi concluso nel 2016: con la Legge Regionale 2 di quell'anno sono state abrogate le province istituite nel 2001[203] ritornando ad uno schema con quattro di queste suddivisioni amministrative. Ad esse si affiancava la città metropolitana di Cagliari, composta oltre che dal capoluogo da sedici comuni, per una popolazione di oltre 432 000 abitanti e una superficie di 1 248 km²: tale istituzione (anch'essa concretizzatasi nel 2016) portava a trasformare il restante territorio della provincia di Cagliari e di quelle del Medio Campidano e di Carbonia-Iglesias nella nuova provincia del Sud Sardegna, che si aggiungeva a quelle di Oristano, Nuoro e Sassari.
La riforma ha previsto inoltre la costituzione di nuove circoscrizioni sovracomunali adeguate per lo svolgimento delle funzioni attribuite alle unioni di comuni e alle associazioni di unioni di comuni.

Circoscrizioni giudiziarie e sedi di tribunale (circondari)

L'intero territorio regionale della Sardegna costituisce il distretto della Corte d'appello di Cagliari[205] (con sezione staccata di Sassari), all'interno del quale si trovano i sei Tribunali (Cagliari, Lanusei, Nuoro, Oristano, Sassari e Tempio Pausania[206]), la cui circoscrizione territoriale di ciascuno viene definita circondario.

Installazioni militari

In Sardegna sono presenti varie installazioni militari (basi, poligoni, aeroporti, depositi). In totale esse occupano oltre 350 km², corrispondenti a circa l'1,5% della superficie dell'isola [207] e circa il 61% del totale delle servitù militari italiane, rendendo la Sardegna l'area più militarizzata d'Italia e tra le più militarizzate d'Europa[208]. Alle aree militari a terra si affiancano aree a mare per una superficie totale di 20000 km² (poco meno della superficie regionale), che vengono interdette alle attività civili durante le operazioni di esercitazione[207]. Particolarmente significativi sono i poligoni di Quirra, di Capo Teulada e di Capo Frasca, presso i quali prendono parte alle esercitazioni non solo truppe italiane ma anche di altri paesi NATO. Presso La Maddalena, era presente una base navale statunitense, ora dismessa, in cui operavano tra l'altro sommergibili a propulsione atomica.[207]

Sport

Diffusosi in Sardegna dalla seconda metà dell'Ottocento in poi (in particolare da secondo dopoguerra), lo sport fu praticato inizialmente nelle città, per poi diffondersi nelle periferie e nei centri minori. Le prime società sportive furono fondate a Cagliari, a Sassari e nel Sulcis dove era alta la concentrazione di operai che lavoravano nelle miniere.
Con riferimento ai dati ISTAT 2009 lo sport coinvolge circa il 28% della popolazione sopra i 3 anni con circa 460.000 praticanti[209] (cifra che raddoppia considerando anche coloro che praticano semplice attività fisica[209]), divenendo un fenomeno di massa, sostenuto anche da iniziative della Regione Sardegna (legge n. 17/1999)[209], che favoriscono l'organizzazione di eventi sportivi anche a livello internazionale. L'isola è rappresentata a livello nazionale con una o più squadre nelle massime serie, A o B, in vari sport di squadra.

Sport tradizionali

Uno sport in particolare, S'istrumpa, o lotta sarda, disciplina riconosciuta dal CONI e dalla Federazione Internazionale Lotte Celtiche (F.I.L.C), è una pratica sportiva tipica della Sardegna le cui origini sono antichissime. Rivalutata di recente e praticata soprattutto nella Sardegna centrale, i campioni sardi sono conosciuti a livello internazionale[210].

Calcio


Il Cagliari campione d'Italia nella stagione 1969-70

Cagliari Calcio

Nel capoluogo dell'isola ha sede il Cagliari Calcio, società fondata nel 1920[211] e che nella stagione 2016-2017 milita nella Serie A del Campionato italiano[212]. Gli incontri casalinghi vengono disputati allo stadio Sant'Elia di Cagliari. La squadra vinse lo scudetto nella stagione 1969-1970[213].
Lo storico titolo fu per la città di Cagliari un'occasione di orgoglio portando all'attenzione nazionale e internazionale tutti i sardi e la Sardegna stessa[214].

Calcio femminile

L'A.S.D. Torres Calcio è una società di calcio femminile di Sassari ed è la principale della regione, nonché la più titolata d'Italia. Detiene infatti il record di scudetti, coppe Italia e supercoppe italiane[215].

Il PalaSerradimigni a Sassari

Pallacanestro

La massima espressione del basket sardo è la Polisportiva Dinamo Sassari, che dopo una ventennale militanza nel Campionato di Legadue, ha raggiunto nella stagione 2009/2010 la promozione nella massima serie del campionato italiano maschile di pallacanestro, laureandosi campione d'Italia nella stagione 2014-2015 e qualificandosi in più occasioni ai play-off scudetto e nelle competizioni europee[216]. La Dinamo Sassari ha inoltre vinto altri tre trofei nazionali, due Coppa Italia e una Supercoppa italiana. Nel passato la Brill Cagliari ha militato nella Serie A dal 1968 al 1978. Nel basket femminile le principali società sono la Mercede Basket Alghero, la Virtus Cagliari e il CUS Cagliari.
Nell'ambito del basket in carrozzina figurano l'Anmic Dinamo Sassari, facente parte della Polisportiva omonima, e il GSD Porto Torres.

Manifestazioni sportive internazionali

In campo velico, le competizioni internazionali che si disputano nell'isola sono molteplici e di grande prestigio (tra di esse la Veteran Boat rally, considerata una delle più grandi regate di barche d'epoca[217], e la Sardinia Rolex Cup, ritenuta dagli appassionati l'equivalente mediterranea dell'Admiral's Cup[218]). Anche il rally ha lunga tradizione sugli sterrati sardi, con il Rally Costa Smeralda[219] e dal 2004 con la tappa italiana del Campionato Mondiale Rally[220]. Il Giro di Sardegna di ciclismo è stato vinto da importanti campioni[221], mentre per la corsa campestre vede ogni anno ad Alà dei Sardi il trofeo Alasport, anch'esso con la partecipazione di campioni internazionali della specialità[222].

Personalità illustri

Nel corso della storia la Sardegna ha dato i natali a personalità versate in ogni genere di arte e disciplina. Durante il Novecento ha espresso figure di rilevanza internazionale come Antonio Gramsci, la scrittrice premio Nobel Grazia Deledda ed Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista dell'occidente. Inoltre, a livello italiano l'isola di Sardegna ha avuto modo di esprimere quali presidenti della Repubblica Antonio Segni e Francesco Cossiga, oltre a Giuseppe Saragat, nato a Torino da genitori sardi.