Benvenuti nel mio nuovo blog. Verranno trattati tutti gli argomenti tranne MISTERI, ARTE e STORIA già presenti nei miei altri blog precedenti i cui link troverete qui sotto.
Dopo gli Stati Uniti il Giappone è il paese preferito dagli italiani che vanno all'estero non a caso (vedere link).
Forbidden colours (1983) di Ryuichi Sakamoto è il tema principale del
film Furyo, dove l'autore è anche coprotagonista insieme a David Bowie.
Ryuichi Sakamoto ha composto le colonne sonore di molti film di
successo, vincendo nel 1987 l'Oscar per le musiche de L'ultimo
imperatore di Bernardo Bertolucci ; per lo stesso regista ha scritto le
colonne di Il tè nel deserto e Il piccolo buddha; per Pedro Almodovar
quelle di Tacchi a spillo.
L' Hanami ( 花見- contemplare i fiori) è l'usanza tradizionale giapponese
d'ammirare la bellezza della fioritura primaverile dei ciliegi da fiore
giapponesi, i Sakura ( 桜- fiore di ciliegio).
Dovessimo accettare tutti i giudizi degli altri dovremmo tutti spararci. Per quanto mi riguarda hanno tentato più volte di attaccarmi sparando giudizi a raffica ma, come canta Vasco, IO SONO ANCORA QUA.
“Come
sono andato? Sono andato bene? Sono stato troppo aggressivo? Ho fatto
bella figura? E se sbaglio? Se mi metto questo vestito poi cosa
penseranno di me? Se esco con quel tizio che figura ci faccio? Non posso
andare in giro con questa vecchia auto, è da perdente. Odio il calcio
ma i miei amici non parlano d’altro e così quando sono con loro fingo.
Amo le telenovele ma le guardo di nascosto, se no le mie amiche non mi
rivolgeranno più la parola, penseranno che io sia una stupida. Alzi la
mano chi non ha aviuto pensieri simili: viviamo spesso come sorvegliati
speciali, attentissimi agli sguardi e al giudizio degli altri. Per qualcuno è una vera malattia e non a caso si chiama fobia sociale, ma anche chi non è sopraffatto dall’ansia per il giudizio degli altri, può serenamente ammettere che la vita sociale lo condiziona, e non poco…
Il giudizio degli altri ci schiaccia...
Sembra che la paura dello giudizio degli altri ci renda schiavi delle regole, dei luoghi comuni, delle norme. Ma è proprio così? In realtà non è il giudizio degli altri a far soffrire… È
sempre il nostro giudice interno, quel personaggio nel quale
condensiamo la morale e il pensiero comune: è lui che giudica e condanna.
Facciamoci caso: gli altri non passano mica il tempo a osservarci! È
già tanto se compariamo nei loro pensieri ogni tanto, di passaggio.
Facciamo tutto da soli. Meno male allora che arriva un fastidio come l'ansia:
solo lei può scuoterci e impedirci di diventare una fotocopia di
modelli esterni. Cos’è quest'ansia? Nient’altro che un desiderio
profondo, naturale e spontaneo di trasgredire ai diktat e di essere se
stessi indipendentemente dal giudizio degli altri, qualcosa che però
ancora non riusciamo ad accettare e per questo si presenta con le vesti
della paura. L’insicurezza,
la paura sono l’unica cosa che ti separa dal diventare un robot
programmato: sono la tua parte viva. Più il giudizio degli altri si fa
pressante, più ti senti insicuro, più l’anima ti impedisce di sentirti a
tuo agio a vivere la vita di un altro, spingendoti a vivere solo la
tua.
Così spegni l’ansia del giudizio degli altri
Ecco un eccellente esercizio per liberarsi del giudizio degli altri.
Cerca un punto tranquillo della casa, dove sai di non venire
disturbato. Mettiti comodo e chiudi gli occhi. Ora immagina una tipica
situazione in cui ti senti addosso gli sguardi degli altri. Visualizza
nella mente e concentrati sulle tue sensazioni: percepisci il disagio,
l’imbarazzo, la tensione che ti fa contrarre i muscoli, il timore di
sbagliare quando senti forte il peso del giudizio degli altri.
Lascialo arrivare senza frenarlo, lasciati travolgere da quella paura,
da quegli sguardi che ti trafiggono come punte di lance. Poi, quando
senti che l’onda di malessere ti solleva, immagina di aprire gli occhi e
di vedere intorno a te solo specchi e la tua immagine riflessa ovunque:
gli sguardi che sentivi addosso erano i tuoi! Inizia a fare facce e
smorfie a questi specchi. Senti l’ansia tramutarsi in allegria e riso, e
lascia dolcemente convivere dentro di te lacrime e gioia.
“Di che ti lamenti, se hai dei nemici? O dovrebbero diventarti amici coloro per i quali essere come sei tu è, in segreto, un continuo rimprovero?”
Buona esecuzione a cui ho assistito del coroGospel i cui partecipanti provengono, oltre che da altre regioni nazionali, anche dall'estero come appunto indica il nome medesimo.
Coro Gospel Internazionale di Pistoia, festeggiamenti con tour britannico nel decennale
Sorto
nel dicembre del 2008, il Coro Gospel Internazionale di Pistoia,
diretto dal medico di origine nigeriana Augustine Iroatulam, è entrato
nell’anno del decennale della fondazione. Un anno speciale per il Coro,
che si prodiga a raccogliere fondi e destinare risorse per il
recupero/restauro di opere d’arte, dedicandosi a fini di solidarietà.
Due
esibizioni in Inghilterra, entrambe venerdì 6 aprile: dalle ore 19 a
Colchester, per la raccolta di fondi da destinare alla ricerca sui
tumori della locale Università, e alle 23 a Gravesend. In preparazione
del grande concerto nella Cattedrale di Westminster, a Londra, di Pasqua
2020, a testimonianza di quanto siano cresciute la considerazione e la
popolarità del Coro.
Siamo secondi nel mondo. Grazie ragazze. La vittoria è mancata per poco. In loro onore ho scelto il seguente brano, la marcia FANFARA SOLENNE, marcia d'ordinanza del Corpo delle Guardie della Repubblica eseguita dalla banda dell'Arma dei Carabinieri (in fondo all'articolo - NB).
Azzurre del volley argento ai Mondiali 2018: le schede delle giocatrici e tutti i risultati
9-12 minuti
Hanno emozionato tutta l’Italia
e del nostro Paese rappresentano il volto più bello, quello
dell’amicizia, della sportività, del successo, della simpatia e della
perfetta integrazione. Sono le azzurre del volley, le ragazze terribili (come le ha ribattezzate il telecronista Rai Maurizio Colantoni) che hanno conquistato una meravigliosa medaglia d’argento ai Mondiali in Giappone, ma soprattutto hanno creato grandissime aspettative per il futuro. L’età media della squadra allenata da Davide Mazzanti,
infatti, è di soli 23 anni e la stella più splendente, Paola Egonu, 20
anni li compie solo a dicembre. Questo significa che l’argento di oggi
potrebbe essere solo il primo step di un ciclo lungo e ricco di
successi. In realtà il cammino di queste ragazze è già partito da qualche anno,
perché Egonu è stata campionessa del mondo Under 18 (e anche MVP del
torneo) nel 2015 e da quella nazionale, allenata da Marco Mencarelli,
nei prossimi anni potrebbero arrivare anche altre stelle. Insomma, il
segnale arrivato dal Giappone nelle ultime quattro settimane è molto
chiaro: l’Italvolley femminile può farci sognare per molti anni,
le azzurre oggi sono vicecampionesse del mondo, un domani potranno
salire anche quell’ultimo gradino e la prima grande occasione saranno le
Olimpiadi di Tokyo 2020. Intanto tutte le ragazze di Davide Mazzanti si sono fatte notare a livello mondiale. Oltre a Paola Egonu, che ha stabilito lo storico record di 45 punti in una partita
della competizione iridata (nella semifinale contro la Cina), anche
altre tre azzurre sono state inserite nel dream team finale: Miriam Sylla, come migliore schiacciatrice, Ofelia Malinov, come migliore palleggiatrice, e Monica De Gennaro,
che per la seconda volta è il miglior libero (lo fu anche nel 2014 nel
Mondiale casalingo). E solo per una questione di “equa distribuzione dei
premi individuali” tra le squadre della Final Four, Anna Danesi non ha avuto il premio come miglior centrale, che avrebbe ampiamente meritato. Le azzurre hanno collezionato 11 vittorie su 13 partite in totale, le prime dieci consecutive.
Hanno battuto due volte le campionesse olimpiche della Cina, hanno
dominato contro le campionesse del mondo uscenti degli Stati Uniti e i
due match persi sono stati entrambi contro la Serbia. E le serbe, campionesse d’Europa e vicecampionesse olimpiche,
hanno meritato la vittoria, hanno dimostrato di essere davvero la
squadra più forte. Per ora. Sì perché con un pizzico di esperienza in
più le azzurre potranno presto battere anche loro, in fondo la sconfitta
è arrivata solo al tie-break! E allora appuntiamoci uno per uno i nomi delle azzurre e scriviamoli a
caratteri cubitali, perché queste ragazze (e anche alcune delle serbe)
giocano nel campionato italiano, che già le attende con una grande
festa: il prossimo weekend su tutti i campi rosa di A1 e A2 verrà applicata la scritta “GrAzie ragazze!” per
dimostrare “il riconoscimento e l’affetto con cui milioni di persone
hanno seguito l’impresa che ha portato l’Italia all’argento mondiale e
la pallavolo femminile nel cuore del nostro Paese”, scrive la Lega Serie
A in una nota. E ricordiamo che il volley femminile NON è uno sport minore, ma è tra quelli con il maggior numero di tesserate, perciò non deve tornare nell’ombra dopo questa impresa.
Volley Mondiali femminili, grazie comunque Italia: sei l'orgoglio di una Nazione intera
L'Italia non regge l'impeto servo in una finale strepitosa iniziata con le azzurre in vantaggio
e chiusa da un tie-break che ha premiato la maggior determinazione
serba. Il Mondiale giapponese si conclude così, con l'Italvolley che
vince il primo set, poi cede il secondo, rientra nel match col terzo set
vincente e poi si ferma al quarto. Uno strepitoso mondiale che regala all'Italia un argento importantissimo, orgoglio di un movimento che ha mostrato il meglio di sé e di un Paese che si è unito attorno alle ragazze terribili di Davide Mazzanti
Il
sogno mondiale, iniziato come tale e trasformatosi in realtà, in una
splendida realtà set dopo set. Tutte sono cadute sotto i colpi delle Azzurre,
bravissime nel crescere di intensità durante il torneo in cui non c'è
stata alcuna macchia fino alla finale, con l'unica sconfitta indolore,
nell'ultimo match contro la Serbia prima delle fasi finali. Oggi, a palla ferma, ci si rende conto di quanto ha fatto questa nazionale, in finale dopo 16 anni,
che ha rilanciato oltre la rete l'orgoglio di una nazione intera,
finalmente fuoriuscita dal guscio del classico calcio, disciplina che
tutto fagocita e ingloba. Era dal 2002 che l'Italvolley in rosa non riusciva in una impresa così importante,
quando alzò al cielo l'oro iridato, Poi i nuovi tentativi con i due
Mondiali (nell'ultimo, con un 4° posto oggi diventato il trampolino di
rilancio) e due Europei che hanno aperto altri cicli, meno vincenti, ma
sempre all'altezza delle aspettative tanto che la pallavolo a livello
femminile non a caso rappresenta il primo sport italiano. E che da
questo mondiale in poi, avrà ancor più meritato seguito. L'acme in Giappone è arrivato in semifinale, con l'epica vittoria sulla Cina, per 3-2
con in tie-break spettacolare, drammatico nella sua emotività che ha
espresso il meglio di quanto l'italvolley femminile oggi ha saputo
dimostrare al mondo. Esempio dell'orgoglio di un movimento che troppo
spesso passa in secondo piano e che viene a richiamare a sé l'unità
italiana solo nei momenti che contano, relegando il terzo sport
nazionale in fondo ai pensieri di tifosi e ‘sportivi'. E' stato un Mondiale – cartolina al di là della finale contro le maestre serbe contro
cui però la nostra Nazionale non ha per nulla demeritato, tenendo testa
finché ha potuto, crollando alla distanza ma facendo comunque tremare
l'avversario mettendolo sotto pressione con un inizio di rabbia, qualità
e carattere.
"Ci avete fatto sognare": il grazie dei social alle azzurre del volley argento al Mondiale
di LIVIA LIBERATORE
ROMA - Un
argento meritato come fosse un oro, una nazionale, sconfitta al match
point dalla Serbia, che resterà alla storia. Già dai primi minuti dopo
l'atteso risultato della finale del mondiale Italia-Serbia,
gli utenti dei social network si stringono alle azzurre e dicono loro
un "grazie" collettivo. La prima a diffondere il commosso ringraziamento
è la Federazione Italiana Pallavolo:
"Questo è l’unico muro che ci piace! Forza Azzurre!", scrive il cantante
Marco Mengoni, twittando una foto delle "ragazze terribili", quella nazionale multietnica che ha conquistato i tifosi con la sua voglia di vincere, la professionalità e la spontaneità.
"Brave ragazze, stima, orgoglio e applausi" twitta il ministro Matteo
Salvini. Sulla stessa linea il presidente della Regione Veneto Luca
Zaia, che commenta: "Ci avete comunque regalato un sogno. BRAVISSIME
RAGAZZE, grande coach Mazzanti!"
E alla fine di questi Mondiali del volley femminile pochi
dimenticheranno il sorriso di Paola Egonu, sfoggiato anche nel pieno
delle sue memorabili schiacciate.
Volley, Mondiali femminili: Italia sconfitta in finale, la Serbia vince al tie break
dal nostro inviato COSIMO CITO
YOKOHAMA -
Il Mondiale, il primo della sua storia, è della Serbia, alle azzurre
solo tanti, tantissimi rimpianti. Una finale lunghissima chiusa al tie
break, una nuova altalena di emozioni che stavolta ha punito l'Italia,
arrivata fiaccata da 10 set giocati in ventiquattr'ore a giocarsi il
mondo all'ultimo punto. Decisivo, sul 9-8 serbo nell'ultima partita uno
spaventoso muro di Mihajlovic su Egonu. Lì le slave prendono l'abbrivio
decisivo. È proprio la schiacciatrice, più di Boskovic, la donna del
destino serbo.
Finisce 3-2 quindi, ma stavolta col 3 dalla parte sbagliata, col Giappone e con la Cina
le azzurre avevano vinto all'ultimo punto. I parziali raccontano
l'equilibrio visto in campo, ma solo nei set vinti dalle azzurre: 21-25,
25-14, 23-25, 25-19, 15-12). Fatturato enorme ancora per Egonu (30
attacchi, 2 muri e un ace), ma anche una gran quantità di errori che
sommati alla serata di scarsa vena di Sylla hanno premiato Terzic.
Proprio un errore di Sylla, servita malissimo all'ultimo punto e
costretta a una sorta di gancio irregolare per rimandare il pallone di
là ha chiuso il match. Rimpianti sì, tantissimi, per l'Italia, incapace
di dare continuità a un primo set formidabile. La squadra si è però
sfilacciata e si è danneggiata da sola: l'hanno messa in difficoltà le
tante battute flottanti e soprattutto le due centrali Rasic e Veljkovic.
10 muri a 7, nella partita che conta l'Italia si fa battere proprio nel
suo fondamentale più efficace. Azzurre brave lo stesso, ma è Rasic ad
alzare il trofeo.
A distanza di sedici anni l'Italia è tornata comunque a conquistare una
medaglia in una rassegna iridata e lo ha fatto con una squadra
giovanissima e praticamente autoprodotta: 9 delle azzurre si sono
formate nel Club Italia: Fahr, Nwakalor, Pietrini, Lubian, Chirichella,
Egonu, Danesi, Malinov e Ortolani. Mazzanti ha guidato il gruppo alla
perfezione. Asciugate le lacrime, ora si dovrà ripartire. Nel prossimo
fine settimane, smessa la maglia azzurra, le 14 ragazze inizieranno il
campionato italiano.
CRONACA - Primo set perfetto, l'Italia va subito al
break grazie a un muro di Danesi su Rasic. Voliamo sul +4 al primo
time-out tecnico con un contrattacco di Sylla e un primo tempo di
Danesi. Ace di Sylla e muro di Bosetti su Boskovic (12-9), poi ancora
Bosetti ed Egonu (15-12). Poi Sylla piazza l'uno-due finale. Tutto però
torna in discussione nella seconda partita: una quantità impressionante
di errori in ricezione della azzurre su battute flot manda la Serbia
avanti. Una fast di Rasic, una murata su Sylla, e una doppietta di
Boskovic per il 18-11. Ultimo punto siglato da Mihajlovic.
Il terzo set illude: Egonu diventa protagonista, sul 12-12 mani-fuori
della ragazza di Cittadella, ace di Bosetti, muro di Egonu su Boskovic
per il 15-12. Si torna in parità ma Malinov di seconda e il muro di
Egonu, una chiusura di prima di Danesi, un muro di Sylla su Mihahjlovic
e poi chiusura di Egonu. Si rimescola tutto ancora nel quarto, Serbia
sempre avanti, 8-2 e poi 16-11 sfruttando un paio di imprecisioni di
Egonu e un errore di Danesi. Bosetti, la migliore delle azzurre in
finale, ha un'occasione in contrattacco ma viene murata da Ognjenovic
(23-19), è Egonu a sbagliare il punto decisivo. Nel tie break, decide il
muro di Mihajlovic su Egono per il 10-8. Infine il gancio-cielo
irregolare di Sylla.
Finisce così il Mondiale, non la favola delle azzurre d'argento. Bronzo
alla Cina, 3-0 senza storia sull'Olanda. Alla fine Miriam Sylla eletta
miglior schiacciatrice, De Gennaro miglior libero, Malinov miglior
regista, Egonu miglior opposto. Boskovic, però, è l'Mvp, ed è giusto
così.
Sul grande schermo il super eroe Marvel Venom, principale antagonista dell'uomo ragno.
Venom, il protettore letale, uno dei
personaggi Marvel più enigmatici, complessi e tosti arriva sul grande
schermo interpretato dall'attore candidato all'Oscar Tom Hardy.
Nel film diretto da Ruben Fleischer, Hardy è il giornalista investigativo Eddie Brock,
il quale, nel tentativo di rianimare la sua carriera, inizia ad
indagare su uno scandalo che coinvolge la Life Foundation, una
sofisticata organizzazione senza scrupoli formata da un gruppo
survivalista, entra in contatto con un'entità aliena con la quale si
fonde ottennendo superpoteri. Il rapporto tra Brock e il simbionte è
quello di un "ibrido" con i due personaggi che condividono lo stesso
corpo e che si vedono costretti da lavorare insieme.
Nel film Michelle Williams interpreta Anne Weying, procuratore distrettuale nonché fidanzata di Brock, mentre Riz Ahmed è Carlton Drake,
leader della Life Foundation, principale artefice delle sperimentazioni
sui simbionti. Di lui s'impossesserà uno di loro, trasformandolo in Riot, principale rivale di Venom.
Mi è stato riferito che due emigranti italiani disc jockey avrebbero messo CICIRINELLA in una discoteca di New York creando non poco stupore. Ciò sarebbe stato rivelato in una trasmissione televisiva. Se ciò fosse vero avrebbero fatto proprio una grossa sorpresa a tutti.
John Birks Gillespie era il più giovane di nove figli e cominciò a
suonare la tromba all'età di 12 anni, per gioco e da autodidatta. Suo
padre, che picchiava regolarmente i suoi bambini, morì quando Gillespie
aveva dieci anni.
Nonostante fosse molto povero, riuscì ad ottenere una borsa di studio all'istituto di Laurinburg, nella Carolina del Nord. Tuttavia, lasciò la scuola nel 1935 e si trasferì a Filadelfia alla ricerca di lavoro come musicista a tempo pieno. Inizialmente si unì a Frankie Fairfax ed effettuò la sua prima registrazione nella band di Teddy Hill nella quale sostituì Roy Eldridge.
Alla fine degli anni trenta si mise in luce nelle orchestre di Teddy Hill, Lucky Millinder, Cab Calloway, Jimmy Dorsey e Lionel Hampton come uno dei migliori epigoni di Roy Eldridge. In quegli anni incontrò tra gli altri Coleman Hawkins, Mario Bauza, Milt Hinton, che lo indirizzarono verso uno stile più moderno.
La nascita del Bebop
« Bird è stato lo spirito del movimento bebop, ma Dizzy ne era la testa e le mani, era lui che teneva insieme tutto »
Nei primi anni quaranta Gillespie iniziò a frequentare il Minton's Playhouse, un locale notturno di New York dove insieme iniziava a muovere i primi passi il nuovo jazz. Con il bassistaOscar Pettiford e il batteristaKenny Clarke fondò un gruppo divenuto poi leggendario e che fu considerato la prima formazione bop della storia.
Le jam sessions notturne del Minton's furono la prima importante palestra per alcuni dei grandi nomi del jazz moderno:
Thelonious Monk, Bud Powell, Max Roach, ma anche Charlie Christian, iniziarono suonando al Minton's e lì inventarono quello che poi sarebbe stato chiamato bebop.
Importante per la carriera di Gillespie fu l'ingresso, nel 1943, nell'orchestra di Earl Hines dove, insieme a Charlie Parker e ad altri giovani neoboppers, venne indirizzato da Billy Eckstine, cantante e grande star della band, cui si deve pure l'arrivo di Sarah Vaughan,
che Mr. B. scopre a una rassegna di dilettanti all'Apollo di New York.
Non durò molto il rapporto con Fatha Hines: andatosene Eckstine, dopo
poco lasciarono pure Dizzy, Parker e gli altri, compresa la Vaughan. Nel
1944, tutti costoro e Gillespie furono ingaggiati nella nuovissima
orchestra di Eckstine: Dizzy avrebbe ricoperto pure il ruolo di direttore musicale.
È grazie a questa band ed ai tre anni di tour per l'America che il bebop si fece conoscere e smise di essere l'urlo claustrofobico dei locali newyorkesi.
Gillespie (a sinistra) negli anni quaranta
Fu nelle piccole formazioni di Gillespie con Charlie Parker, Max Roach, Bud Powell e Oscar Pettiford che al Minton's il bebop trovò la sua conformazione definitiva e più tipica. Composizioni di Gillespie come Groovin' High, Woody n' You, Anthropology, Salt Peanuts e la celeberrima A Night in Tunisia erano per l'epoca rivoluzionarie rispetto all'imperante swing,
da cui differivano soprattutto per l'armonia, la melodia, e il
trattamento ritmico. Anche il suono tendeva a differenziarsi,
soprattutto per l'assenza di vibrato e per gli arrangiamenti, più
semplici e lineari. Il bebop
era anche uno stile di vita rivoluzionario e un nuovo modo di porsi per
gli afro-americani. I musicisti neri si stavano riappropriando della
"loro" musica, il jazz, un tempo vituperato e poi addolcito dallo swing
delle orchestre ballabili bianche. Spesso il nuovo linguaggio non era
capito o addirittura apertamente osteggiato e non sempre fu facile per i
musicisti che si erano fatti le ossa al Minton's trovare ingaggi. Il bebop durò poco: nel 1949 quasi tutti i protagonisti della rivoluzione musicale iniziata da Gillespie e soci si stavano dedicando a cose diverse.
Già dal 1945 Gillespie, iniziatore del minimalista bebop,
per suonare il quale era preferibile organizzarsi in piccoli gruppi,
dimostrò la sua preferenza per le grandi formazioni, nelle quali poteva
esprimersi come leader, come solista e nello stesso tempo come
istrionico intrattenitore. Negli anni molte furono le "Dizzy Gillespie
Big Bands", che si esibirono spesso anche in Europa, ma che finirono
sempre per sciogliersi perché troppo onerose.
Verso la fine degli anni quaranta Dizzy Gillespie cominciò a interessarsi alla musica caraibica e sudamericana. Fu uno dei primi tentativi riusciti di fusion tra generi diversi: i ritmi afro-cubani inseriti nel contesto di una jazz band. Composizioni importanti dell'epoca furono Manteca e Tin Tin Deo.
La passione di Gillespie per i ritmi latini continuò per anni. Nel 1977 scoprì a Cuba il trombettistaArturo Sandoval, durante un giro alla ricerca della buona musica.
Gli ultimi anni
Dizzy Gillespie in concerto nel 1988
A differenza di Miles Davis, Dizzy Gillespie rimase comunque sempre fedele al bebop nonostante la sua preferenza per le big band e l'amore per la salsa e per i ritmi caraibici.
Negli anni cinquanta iniziò ad adoperare la sua caratteristica tromba
con la campana piegata verso l'alto e divenne riconoscibilissimo per
l'estensione del rigonfiamento delle sue guance mentre soffiava potenti riff nel bocchino.
Gillespie pubblicò la sua autobiografia, To Be or Not To Bop nel 1979, che fu tradotta in italiano da Lilian Terry.
La stesura dell'autobiografia fu l'occasione per chiarire molti aspetti
controversi della sua lunga carriera – non ultimi la spiegazione
dell'origine di due degli aspetti più caratteristici della sua presenza
scenica.
Il primo, la sua famosa tromba con la campana rivolta in alto,
deve la sua origine a un incidente di scena. Una sera, durante uno
spettacolo, lo strumento fu fatto cadere dal duo comico Stump and Stumpy
che si esibiva prima di Dizzy. Il suono risultante e la forma non gli
dispiacquero: la campana rivolta in alto gli permetteva di leggere gli
spartiti senza dover abbassare la testa, e inoltre riusciva a sentirsi
meglio perché il suono veniva riflesso dal basso soffitto dei locali
dove si esibiva. Decise quindi di farsi fare una tromba di quella forma,
con la campana piegata a quarantacinque gradi verso l'alto (quella
originale si era danneggiata nell'incidente).[1]
Un'altra inconfondibile caratteristica dell'aspetto fisico di Gillespie
era l'enorme gonfiore assunto dalle guance quando suonava
(l'impostazione trombettistica classica richiede che le guance vengano
gonfiate pochissimo o per nulla). Gillespie attribuiva questo fatto, che
si manifestò solo in età matura, a fattori fisiologici al di fuori del
suo controllo, e diceva che un medico ipotizzò che si trattasse di una
sindrome sconosciuta.[1] Nel 1963, il 21 settembre 1963, Dizzy Gillespie sul palco del
Monterey Jazz Festival comunicò al mondo la sua intenzione di candidarsi
alle elezioni presidenziali statunitensi.
Durante gli anni settanta Dizzy Gillespie si rese protagonista di
un'azione altamente benefica nei confronti di un suo collega il
trombettista Chet Baker. Quest'ultimo, a seguito della sua vita
parecchio tempestosa, a causa dell'ennesimo mancato pagamento nei
confronti di alcuni suoi creditori, fu pestato a sangue da quest'ultimi
che infierirono sul volto di Chet fino a compromettergli la possibilità
di continuare ad esercitare il suo mestiere di trombettista tant'è che
per diverso tempo fu costretto all'inattività. Dizzy, nell'assoluto
anonimato, pagò di sua tasca l'intervento chirurgico che ricompose la
dentatura di Chet consentendogli di tornare a suonare. Sembra che Chet
Baker, indagando sul suo segreto benefattore, saputo alfine che
rispondeva al nome di Dizzy Gillespie, sostò nel suo pianerottolo
dormendo tre notti all'addiaccio, senza profferire parola, rendendo
grazie in questo modo a colui che gli aveva ridonato la vita musicale.
Negli anni ottanta guidò la United Nations Orchestra e apparve come ospite in alcune sit-com televisive. Nel 1986 ha suonato all'album Effetti Personali di Sergio Caputo.
Negli ultimi anni Gillespie rallentò molto la sua attività. Si
dedicò prevalentemente all'insegnamento e fu spesso ospite in Italia a Bassano del Grappa, dove gli venne conferita la cittadinanza onoraria e dove fondò la locale Scuola popolare di musica, in seguito intitolata a lui. Continuò comunque a esibirsi con i suoi protetti come Arturo Sandoval
e Jon Faddis. Il suo atteggiamento comico e allegro divenne una
caratteristica distintiva delle sue esibizioni durante le quali comunque
non si risparmiava suonando la tromba con il suo dispendiosissimo
stile.
Gillespie fu uno dei più noti aderenti alla fede Bahá'í. In suo onore ogni settimana si svolge una esibizione di jazz presso il Bahá'í Center di New York.
Gillespie morì di cancro al pancreas nel 1993 a 75 anni; è sepolto nel Flushing Cemetery, nel Queens, a New York. Alla sua memoria è stata dedicata una stella nella Hollywood Walk of Fame di Los Angeles, al 7057 di Hollywood Boulevard.
Il 21 ottobre 2017 ricorre il centenario della nascita di Dizzy Gillespie.
PRIMO VIDEO : Gillespie e la sua orchestra. SECONDO VIDEO : Duetto tra Titani Dizzy Gillespie - Charlie Parker, gli inventori del genere Bepop. TERZO VIDEO : Altro duetto con un grande del Jazz, Louis Armstrong in Umbrella Man.
I TARABARALLA eseguono Roadhouse Blues dei DOORS accompagnati da giochi di fuoco dall'alto di una torre. PRIMO VIDEO : Brano eseguito dal vivo dai DOORS a New York nel 1970 con conseguente putiferio dei fan intenzionati a salire sul palco e bloccati dai poliziotti. SECONDO VIDEO : Esecuzione dei TARABARALLA ( pagina FACEBOOK a questo link).
" Roadhouse Blues " è una canzone rock scritta da Jim Morrison e registrata dal gruppo rock americano The Doors . La canzone, che è apparsa sul lato B di "You Make Me Real", [1] è stata pubblicata per la prima volta dall'album Morrison Hotel nel marzo 1970 e ha raggiunto la posizione # 50 nella Billboard Hot 100 degli Stati Uniti .
La canzone divenne rapidamente un punto fermo per il gruppo ed è stata
coperta da numerosi artisti, in particolare dal gruppo rock britannico Status Quo .
Ci sono voluti due giorni per registrare la canzone (4-5 novembre 1969) con il produttore Paul A. Rothchild che cercava la perfezione. Diverse prese da queste sessioni sono state incluse nell'album rimasterizzato del 2006. Sorprendentemente, non commenta Morrison, che è apparentemente intossicato, "entra nella modalità full blues canter" [2]
nelle parole dell'ingegnere Bruce Botnick, improvvisando e
simultaneamente flubbing diversi testi e ripetendo la frase blues "Il
denaro batte l'anima ogni volta ".[3] La frase può essere trovata nella colonna sonora di When You're Strange: Music from the Motion , con il brano successivo in una versione live di "Roadhouse Blues". Le sessioni sono decollate solo il secondo giorno, quando il chitarrista residente Elektra Lonnie Mack si è unito al basso e l'ex frontista di Lovin 'SpoonfulJohn Sebastian che ha contribuito all'armonica (apparendo sotto lo pseudonimo di G. Puglese o per fedeltà al suo contratto discografico [4]
o per evitare l'affiliazione con The Doors dopo la famigerata
controversia di Miami) si unì alle sessioni e Manzarek passò dal suo pianoforte elettrico Wurlitzer a un pianoforte a percussione (lo stesso usato su The Beach Boys " Good Vibrations ").[5] Una versione in studio della canzone con John Lee Hooker che condivide la voce con Morrison può essere trovata sull'album Stoned Immaculate: The Music of The Doors .[6] Un recente malinteso afferma che Mack ha contribuito con l'assolo di chitarra in pista oltre al basso. Lo stesso Mack ha dichiarato di aver "suonato il basso".[7] In realtà, il chitarrista Robby Krieger
è responsabile di tutte le parti di chitarra in "Roadhouse Blues" e il
contributo di Mack è limitato al basso, come sempre dichiarato
ufficialmente; Jim Morrison grida "Fallo, Robby, fallo!"
(particolarmente udibile sulla prova audio ufficiale di DVD-Audio e
SuperAudioCD in cui la singola traccia vocale può essere separata da
altri strumenti) all'inizio del solo chitarra.
L'assolo su disco è rappresentativo del gioco di tipo fingerstyle di
Krieger ed è identico a tutti gli assoli di Roadhouse Blues giocati
nelle sessioni precedenti il giorno precedente il 5 novembre 1969. Le
interviste successive con membri di The Doors e Rothchild lo confermano.
La canzone completa è stata completamente composta e provata prima che
Lonnie Mack fosse stata invitata a suonare il basso su "Roadhouse Blues"
e "Maggie M'Gill" (Ray Napoletano, bassista regolare durante le
sessioni del Morrison Hotel, non poteva arrivare in tempo quel giorno a
causa di Un ingorgo).[8] Mack aveva smesso di fare tournée e all'epoca lavorava per la Elektra Records , ma tornò alla musica dopo aver suonato il basso durante la sessione.[9] Alice Cooper
ha affermato di essere stata l'ispirazione per la linea "Mi sono
svegliato stamattina e mi sono fatto una birra", come dichiarato nel suo
spettacolo mattutino su Planet Rock .[10] Una versione live apparirà in seguito sull'album postumo An American Prayer e la stessa versione di nuovo in In Concert e Greatest Hits .
Durante questa versione, Jim Morrison parla per un po 'di tempo con un
membro del pubblico femminile del suo segno zodiacale e, con
un'improvvisa, ironica svolta che fa scoppiare il pubblico a ridere,
denuncia le sue convinzioni. La canzone è stata anche messa in evidenza due volte nel film The Doors ; la versione in studio del film e la versione live sopra citata sopra i titoli di coda.
Status Quo ascoltò per la prima volta la canzone poco dopo l'uscita durante un tour a Bielefeld , in Germania , nel 1970. [11]
Stavano cercando un cambio di direzione lontano dal loro stile pop
psichedelico originale, e non erano sicuri su cosa fare, ma dopo aver
sentito i Doors 'versione della canzone in un club, hanno apprezzato il
suo shuffle di 12 battute e hanno pensato che sarebbe stato un buon
modello per le canzoni future.[12] Il gruppo ha registrato una versione in studio dell'album Piledriver del 1972, con il bassista Alan Lancaster alla voce principale e con un verso in più con armonie in tre parti, che la registrazione dei Doors non aveva.[11] I testi erano diversi dall'originale, ad esempio cantando "Dovrei averti fatto" invece di "Ashen lady".[13] Il brano è stato rilasciato come singolo promozionale, con " Children of the Grave " dei Black Sabbath sul lato B.[11]
La canzone è stata una caratteristica regolare della scaletta live di
Quo per tutti gli anni '70, eseguita verso la fine dello spettacolo. È stato esteso per consentire una jam session nel mezzo, con frammenti di altre canzoni tra cui la tradizionale " The Irish Washerwoman " e " Shakin 'All Over " [14][15] con una versione di 14 minuti come traccia finale del 1977 Dal vivo[16] Nel 1992, l'album dal vivo Live Alive Quo includeva Roadhouse Medley , che mescolava altre canzoni al riff principale di Roadhouse Blues.[17] Roadhouse Blues è stato rianimato per i tour "Frantic Four" nel 2013. [18] Nel 2014, una ristampa deluxe di Piledriver includeva una versione live di 15 minuti, registrata nel 1973. [19]