" Vi ho lasciato ottanta anni fa analfabeti. Torno dopo ottanta anni e vi ritrovo analfabeti".In effetti è la realtà anche se si tratta di una battuta tratta da un film commedia...
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Sono tornato: la recensione del film di Luca Miniero, remake di Lui è tornato
Francesco Giuffrida
Uno dei più grandi successi del cinema italiano degli ultimi 10 anni è stato sicuramente Benvenuti al Sud, riuscito remake della commedia francese Giù al nord, in cui si evidenziavano, con vizi e virtù, le differenze tra il Nord e il Sud Italia. Regista dell’operazione fu Luca Miniero. Oggi, dopo qualche risultato al di sotto delle aspettative, il regista cerca fortuna con un nuovo remake, Sono tornato, riadattamento del film tedesco del 2014 Lui è tornato.
Se inizialmente lo stile amatoriale del film ci diverte abbastanza (riprende, infatti, dal film originale l’idea del documentario e delle interviste improvvisate), il risultato e la velata critica alla società e alla politica di oggi puzza di populismo e banalità. La sceneggiatura risulta confusionaria, con molte storie sviluppate, alcune anche inutilmente, ed alcune di esse lasciate incomplete. Se Miniero avesse concentrato tutto il film sul viaggio di Mussolini nell’Italia di oggi, alle prese con tecnologie e le problematiche odierne, forse avrebbe strappato qualche sorriso e qualche riflessione in più.
A salvare un film abbastanza mediocre è un’ottima interpretazione di Massimo Popolizio, credibile e divertente nei panni del dittatore fascista. Frank Matano, oramai sempre più in ascesa tra cinema e TV, fa se stesso finchè nuota nel registro della commedia, ma perde qualsiasi forma di credibilità allontanandosi dal suo stagno. Nei panni della Bellini, invece, troviamo una Stefania Rocca abbastanza incolore.
Sono tornato è l’ennesima occasione sprecata di un cinema italiano che cerca di fare riflettere facendo allo stesso tempo divertire. Il tema della critica politica risulta trattato in maniera populista e banale e il film risulta sviluppato solo a tratti. Degna di menzione positiva è solo la buona interpretazione di Massimo Popolizio nei panni di un credibile Benito Mussolini.
Sono tornato: la sinossi
Se nel film tedesco era Hitler a ritrovarsi in una Berlino del 2014, e nel film di Miniero succede qualcosa di molto simile. Benito Mussolini, infatti, ritorna dal mondo dei morti e si ritrova a Piazza Vittorio, a Roma. Il dittatore si trova spaesato, in quanto, ritrovatosi nell’Aprile 2017, si sorprende di quanto la società, tra matrimoni gay e globalizzazione, si sia evoluta. Insieme ad Andrea Canaletti, reporter che cerca la sua fortuna nell’emittente Mondo TV, cercherà di riottenere il consenso degli italiani e di riprendere l’opera lasciata incompiuta circa 70 anni fa, ma le polemiche non tarderanno…Sono tornato: le nostre impressioni
Se con Benvenuti al Sud Miniero, pur utilizzando dei simbolismi già visti, aveva divertito anche grazie all’ottima coppia Bisio-Siani, con questo film punta in alto, creando una commedia dal sapore amaro e dalle sfumature politiche, senza però convincere il suo pubblico.Se inizialmente lo stile amatoriale del film ci diverte abbastanza (riprende, infatti, dal film originale l’idea del documentario e delle interviste improvvisate), il risultato e la velata critica alla società e alla politica di oggi puzza di populismo e banalità. La sceneggiatura risulta confusionaria, con molte storie sviluppate, alcune anche inutilmente, ed alcune di esse lasciate incomplete. Se Miniero avesse concentrato tutto il film sul viaggio di Mussolini nell’Italia di oggi, alle prese con tecnologie e le problematiche odierne, forse avrebbe strappato qualche sorriso e qualche riflessione in più.
A salvare un film abbastanza mediocre è un’ottima interpretazione di Massimo Popolizio, credibile e divertente nei panni del dittatore fascista. Frank Matano, oramai sempre più in ascesa tra cinema e TV, fa se stesso finchè nuota nel registro della commedia, ma perde qualsiasi forma di credibilità allontanandosi dal suo stagno. Nei panni della Bellini, invece, troviamo una Stefania Rocca abbastanza incolore.
Sono tornato è l’ennesima occasione sprecata di un cinema italiano che cerca di fare riflettere facendo allo stesso tempo divertire. Il tema della critica politica risulta trattato in maniera populista e banale e il film risulta sviluppato solo a tratti. Degna di menzione positiva è solo la buona interpretazione di Massimo Popolizio nei panni di un credibile Benito Mussolini.
Non c’è nessun fine nascosto in Sono tornato, come del resto non ce n’era uno in Lui è tornato
(l’originale tedesco di cui questo è un adattamento), sono entrambi
film che dichiaratamente vogliono rappresentare il proprio paese,
vogliono raccontare le persone a partire dal rimosso politico più forte
della propria storia.
E se da noi il fascismo (e Mussolini) non è certo un tabù collettivo e una vergogna nazionale come in Germania è il nazismo (e Hitler), ma più una parte della memoria nazionale che la politica come le persone tendono a considerare un terreno di negoziazione, è vero che al pari della Germania il rapporto attuale con i valori espressi e profusi durante la dittatura è un’ottima maniera per raccontare il paese, specie in una fase di superamento del nazionalismo.
In questo senso ci sono due rappresentazioni contrastanti dell’Italia in Sono tornato: la prima è quella che vive Mussolini, resuscitato nel presente in un paese che ai suoi occhi è troppo progressista e ai nostri (che in quel momento lo vediamo tramite i suoi) appare incredibilmente avanti, moderno e tollerante grazie a matrimoni gay, presenza di altre etnie, diritti delle donne e grandi libertà individuali.
Tutto è per lui uno shock e per noi una conferma dei passi in avanti fatti
La seconda rappresentazione, più profonda, si scopre lentamente lungo il film ed è quella di una parte di paese che cova desideri nostalgici di uomini forti e supremazia razziale. Il film lo mostra attraverso le riprese di Massimo Popolizio (Mussolini) e Frank Matano (un giornalista al suo seguito) che girano per l’Italia facendo domande a persone per strada o nei negozi, le quali rispondono alle volte secondo copione, altre invece in maniera spontanea (la differenza è che nel secondo caso i loro volti sono oscurati).
Il contrasto tra le due Italie non stupisce in un film di Luca Miniero, regista e sceneggiatore del conflitto nazionale, fino ad oggi specializzato nella convivenza faticosa di due tradizioni italiane (la meridionale e la settentrionale) come visto in Incantesimo napoletano, Benvenuti al Sud/Nord, Un boss in salotto e La scuola più bella del mondo (il suo ultimo film, Non c’è più religione, raccontava invece come la convivenza difficile delle religioni). E del resto le due Italie in Sono tornato, senza dubbio il suo film migliore, sono mostrate con un equilibrio (narrativo) impeccabile.
Questo è un sottile ma determinante elemento di differenza tra la nostra versione e quella originale tedesca, in cui l’accento è più marcato sulla mancanza di nazionalismo e sul protezionismo tedesco che Hitler non trova. Da noi Mussolini non maledice i politici attuali per lo scarso interesse verso gli interessi italiani, fa discorsi un po’ più vaghi, ricorre ai noti slogan e non prende di petto alcun tema. È semmai la popolazione ad esprimersi più di quanto non avvenisse nel film originale (in cui pure erano presenti interviste fatte in giro per la Germania).
I temi su cui lo fa sono sempre i più populisti, i più dibattuti e i meno determinanti ma più infervoranti: i crocefissi nelle scuole, i migranti che in realtà sarebbero ricchissimi, il lavoro che viene rubato, i furti, gli immancabili politici che si arricchiscono alle spalle degli italiani e il più eterno degli evergreen, le maledette tasse. C’è insomma l’aspetto più prevedibile del nostro paese (ma anche quello effettivamente più veritiero) in Sono tornato, tuttavia per quanto dai singoli discorsi non esca nulla di inatteso, grazie alla partecipazioni del Mussolini resuscitato alla vita mediatica italiana Sono tornato riesce a dire qualcosa.
La grande differenza con Lui è tornato è infatti tutta concentrata nel finale. Il grande scontro risolutivo del film è tutto interno al sistema mediatico/televisivo (nell’originale c’era invece una fuoriuscita nel cinema, con Hitler in un film). Non solo appare una scelta molto adeguata al nostro scenario, ma anche la maniera in cui è realizzata e il valore su cui fa leva (il sempreverde “perdono italiano”) suonano azzeccati.
È dunque nella TV che il Mussolini di Luca Miniero e Nicola Guaglianone (co-sceneggiatore del film) vive i suoi alti e i suoi bassi. Nonostante passi gran parte del film in giro per l’Italia come un politico di una volta, nei campi e per le strade intento a capire il paese per poterlo riconquistare, sarà poi una trasmissione a dargli il vero lustro, saranno delle immagini registrate a metterlo in crisi di popolarità, e infine sarà un’altra trasmissione a dargli un possibile riscatto.
Tutto ai danni del suo compagno, il giornalista/regista di Frank Matano che sogna di vincere il festival di Berlino (“Ma se vado avanti così al massimo vinco Locarno….”), e che come tutti crede lui sia un attore comico che interpreta un personaggio provocatoriamente uguale a Mussolini. Dettaglio, quello dell’ironia sulla somiglianza di atteggiamento con il duce, che pure ci ricorda più di una figura politica locale e come abbia costruito su quel ricordo il proprio successo.
Che alla fine il film racconti le tendenze nostalgiche reali dell’Italia ma anche la maniera in cui queste sono sia osteggiate da una certa parte sia non considerate da altre lo si vede sui titoli di coda in cui il duce con una macchina d’epoca si muove per il centro di Roma passando accanto a molti turisti divertiti dalla mascherata, alcuni extracomunitari stranamente contenti, molti curiosi che fotografano, qualche entusiasta che saluta romanamente e altri meno lieti che protestano silenziosamente con un pugno chiuso comunista.
E se da noi il fascismo (e Mussolini) non è certo un tabù collettivo e una vergogna nazionale come in Germania è il nazismo (e Hitler), ma più una parte della memoria nazionale che la politica come le persone tendono a considerare un terreno di negoziazione, è vero che al pari della Germania il rapporto attuale con i valori espressi e profusi durante la dittatura è un’ottima maniera per raccontare il paese, specie in una fase di superamento del nazionalismo.
In questo senso ci sono due rappresentazioni contrastanti dell’Italia in Sono tornato: la prima è quella che vive Mussolini, resuscitato nel presente in un paese che ai suoi occhi è troppo progressista e ai nostri (che in quel momento lo vediamo tramite i suoi) appare incredibilmente avanti, moderno e tollerante grazie a matrimoni gay, presenza di altre etnie, diritti delle donne e grandi libertà individuali.
Tutto è per lui uno shock e per noi una conferma dei passi in avanti fatti
La seconda rappresentazione, più profonda, si scopre lentamente lungo il film ed è quella di una parte di paese che cova desideri nostalgici di uomini forti e supremazia razziale. Il film lo mostra attraverso le riprese di Massimo Popolizio (Mussolini) e Frank Matano (un giornalista al suo seguito) che girano per l’Italia facendo domande a persone per strada o nei negozi, le quali rispondono alle volte secondo copione, altre invece in maniera spontanea (la differenza è che nel secondo caso i loro volti sono oscurati).
Il contrasto tra le due Italie non stupisce in un film di Luca Miniero, regista e sceneggiatore del conflitto nazionale, fino ad oggi specializzato nella convivenza faticosa di due tradizioni italiane (la meridionale e la settentrionale) come visto in Incantesimo napoletano, Benvenuti al Sud/Nord, Un boss in salotto e La scuola più bella del mondo (il suo ultimo film, Non c’è più religione, raccontava invece come la convivenza difficile delle religioni). E del resto le due Italie in Sono tornato, senza dubbio il suo film migliore, sono mostrate con un equilibrio (narrativo) impeccabile.
Questo è un sottile ma determinante elemento di differenza tra la nostra versione e quella originale tedesca, in cui l’accento è più marcato sulla mancanza di nazionalismo e sul protezionismo tedesco che Hitler non trova. Da noi Mussolini non maledice i politici attuali per lo scarso interesse verso gli interessi italiani, fa discorsi un po’ più vaghi, ricorre ai noti slogan e non prende di petto alcun tema. È semmai la popolazione ad esprimersi più di quanto non avvenisse nel film originale (in cui pure erano presenti interviste fatte in giro per la Germania).
I temi su cui lo fa sono sempre i più populisti, i più dibattuti e i meno determinanti ma più infervoranti: i crocefissi nelle scuole, i migranti che in realtà sarebbero ricchissimi, il lavoro che viene rubato, i furti, gli immancabili politici che si arricchiscono alle spalle degli italiani e il più eterno degli evergreen, le maledette tasse. C’è insomma l’aspetto più prevedibile del nostro paese (ma anche quello effettivamente più veritiero) in Sono tornato, tuttavia per quanto dai singoli discorsi non esca nulla di inatteso, grazie alla partecipazioni del Mussolini resuscitato alla vita mediatica italiana Sono tornato riesce a dire qualcosa.
La grande differenza con Lui è tornato è infatti tutta concentrata nel finale. Il grande scontro risolutivo del film è tutto interno al sistema mediatico/televisivo (nell’originale c’era invece una fuoriuscita nel cinema, con Hitler in un film). Non solo appare una scelta molto adeguata al nostro scenario, ma anche la maniera in cui è realizzata e il valore su cui fa leva (il sempreverde “perdono italiano”) suonano azzeccati.
È dunque nella TV che il Mussolini di Luca Miniero e Nicola Guaglianone (co-sceneggiatore del film) vive i suoi alti e i suoi bassi. Nonostante passi gran parte del film in giro per l’Italia come un politico di una volta, nei campi e per le strade intento a capire il paese per poterlo riconquistare, sarà poi una trasmissione a dargli il vero lustro, saranno delle immagini registrate a metterlo in crisi di popolarità, e infine sarà un’altra trasmissione a dargli un possibile riscatto.
Tutto ai danni del suo compagno, il giornalista/regista di Frank Matano che sogna di vincere il festival di Berlino (“Ma se vado avanti così al massimo vinco Locarno….”), e che come tutti crede lui sia un attore comico che interpreta un personaggio provocatoriamente uguale a Mussolini. Dettaglio, quello dell’ironia sulla somiglianza di atteggiamento con il duce, che pure ci ricorda più di una figura politica locale e come abbia costruito su quel ricordo il proprio successo.
Che alla fine il film racconti le tendenze nostalgiche reali dell’Italia ma anche la maniera in cui queste sono sia osteggiate da una certa parte sia non considerate da altre lo si vede sui titoli di coda in cui il duce con una macchina d’epoca si muove per il centro di Roma passando accanto a molti turisti divertiti dalla mascherata, alcuni extracomunitari stranamente contenti, molti curiosi che fotografano, qualche entusiasta che saluta romanamente e altri meno lieti che protestano silenziosamente con un pugno chiuso comunista.